Il 28 dicembre 1946 c’è l’esordio di “Don Camillo e Peppone”

Luigi Meneghello è uno degli scrittori più sconosciuti, ma anche più brillanti del suo tempo: veneto della provincia, dopo la guerra va in Inghilterra e lì, alla giusta distanza, si dedica allo studio della sua lingua. È più o meno lo stesso periodo in cui Giuseppe Guareschi iniziava a pubblicare su il «Candido, settimanale del sabato» le storie di Don Camillo e Peppone. Anche qui la cornice era quella della bassa; le vicende, quelle che conosciamo. Però, oltre a queste figure in primo piano, chi ha mai rivolto l’attenzione verso lo sfondo? Immaginiamo di guardare un Giuseppe Pellizza da Volpedo, però per una volta a cuor leggero. Luigi Meneghello descrive quelle persone con una parola che rende solo in dialetto, ed è “bisogna”: bisogna lavorare, “bisogna èssare bòni” (sintesi di filosofia morale) e molti altri bisogni ancora. Eppure, che importa? C’erano le biciclettate sul Po, la festa del patrono e il vino dell’oste sempre buono. Tra il bisogno di tirar la cinghia, queste figurine in bianco e nero sapevano come chiudere il cerchio. Onomastici: Santi Innocenti Martiri

Il 27 dicembre 1904 debutta in teatro “Peter Pan”

In “Peter Pan”, il coccodrillo aveva ingoiato la sveglia di Capitan Uncino. Non succederà mai la stessa cosa alla nostra, ma questo non ci impedisce di andare per cinque minuti all’“Isola che non c’è”… Tanta ne è passata di acqua, sotto il canale della Manica, da quando J.M. Barrie ha presentato questa pièce teatrale: un successo che ha travalicato così tanto il suo ambito (la narrativa d’infanzia vittoriana) che studi di psicologia, chiacchiere tra amici e litigate tra amanti non possono più fare a meno di questa frase: la sindrome di Peter Pan. Eppure, non ci sentiamo di stigmatizzarla così tanto se, come è successo a Wendy, rimane l’ingrediente per inventare fiabe. Anche se la signorina sceglierà di lasciare l’isola (valutando che crescere non sia poi così male), ha portato con sé una sorta di lievito madre: l’immaginazione. Con l’unica accortezza di prendersene cura e impastarlo con la vita.   Onomastico: San Giovanni Apostolo

26 dicembre: Santo Stefano

I giorni di festa sono anche quelli delle gite. Così, girovagando per chiese e musei, potreste imbattervi nell’immagine di Santo Stefano: la riconoscerete per la presenza di una pietra. È stato il primo martire della chiesa e nel giorno ormai consacrato alle insalate di rinforzo, fa un certo effetto scoprire l’origine di questa storia: Stefano era un ragazzo che prestava servizio alle mense di Gerusalemme. Dunque, se ieri la luce è venuta per illuminare le genti, questo giovane è stato il primo a rimboccarsi le maniche per tenerla accesa. Vero, non è una storia a lieto fine; eppure al Museo Poldi Pezzoli di Milano abbiamo trovato una tela dove dalla palma del martirio spunta a sorpresa il germoglio di un frutto nuovo. Credenti o meno, il messaggio lasciato da questo giovane è chiaro; quanto a noi, potremmo far tesoro di tutte queste primizie, per il nostro personale emporio.   Onomastico: Santo Stefano

25 dicembre: Buon Natale!

In ogni giorno dell’anno, chiunque avvicini il proprio volto a quello di una culla vive di luce riflessa. Lo sapevano molto bene Correggio o Jacopo Bassano, che hanno rappresentato questo stato in tutti i loro notturni con pastori; potremmo citarne mille di immagini dove i volti dei presenti, in quella notte, sono inondati da qualcosa che sta un po’ stretto nel perimetro delle parole. Forse è per questo che Maria, nel Vangelo di Luca, preferisce rimanere in silenzio e serbare tutte queste “cose”, meditandole nel cuore. Queste giornate, sono spesso additate come quelle del dispendio; eppure oggi avremo con noi un’eccedenza di luce. Dunque, cosa farne? Noi speriamo di avere l’occasione di condividerla con chi, come Ungaretti, preferisce starsene da solo, tra le quattro capriole di fumo del focolare. Magari domani, non avremo più nodi al pettine da districare. Di vero cuore, da tutti noi, buon Natale.   Onomastico: Sant’Anastasia

24 dicembre: Vigilia di Natale

Quando ai tempi dei nonni dei nostri nonni si diceva “osservare vigilia stretta” la faccenda era di quelle da pasdaran: il digiuno era – si perdoni il gioco di parole – il vigile della festa. Oggi, la ristrettezza è stata relegata in cantina e ai piani alti della cucina c’è solo l’attesa mangereccia. “Cosa c’è di così spiacevole nell’essere ubriachi? Chiedilo a un bicchier d’acqua”, scriveva Douglas Adams. L’humor acetico di “Guida galattica per gli autostoppisti” serve a ricordarci che, oggi, c’è anche un secondo soggetto in attesa, ed è il signor stomaco. Sa che tra poche ore inizierà un tour de force che andrà dritto e spedito fino al 6 gennaio; forse, si augurerebbe almeno una vigilia stretta. Pertanto, il minimo che possiamo fare è dedicargli un omaggio natalizio crudista.   Onomastico: Santa Irma

23 dicembre 1979: addio a Peggy Guggenheim

Camminando per Venezia qualche decennio fa, non sarebbe stato difficile imbattersi in Peggy Guggenheim in gondola. Due erano i segni inequivocabili: i cagnolini al braccio e gli occhiali a farfalla, disegnati per lei dall’artista Edward Melcarth. Si sa, ambientarsi in una nuova città non è mai facile. Così, quando Peggy arriva in laguna nel 1946, va in un bar e chiede qual era il luogo dove poter fare nuove conoscenze: cercava artisti, critici, qualcuno con cui scambiare qualche parola sulla sua collezione (a Parigi, prima della Guerra, era conosciuta come la donna che acquistava un quadro al giorno). Le scrivono il nome di Emilio Vedova su un pacchetto di fiammiferi e l’indirizzo di una trattoria dietro piazza San Marco. Peggy va da “Angelo”, dove trova Emilio e tutto il cenacolo artistico veneziano (quello rigorosamente astratto). A distanza di anni, li immaginiamo ancora lì intorno al tavolo, tra il tramestio dei bicchieri, i baratti di quadri e i pranzi non saldati. Si narra di quando un conto fu pagato per la prima volta da un artista con una banconota, questa venne incorniciata; tutto sotto l’occhio vigile dell’Ultima Dogaressa.   Onomastico: San Giovanni da Kęty

Il 22 dicembre 1882 sono state inventate le luci di Natale 

A dicembre è Natale; a Natale si accendono le luci; le luci sono il Natale. Niente meglio di un piccolo sillogismo per ricordarci di quanto le luci siano consustanziali a questo tempo. Storicamente, arrivarono al momento giusto, perché la cera e le candele stavano rischiando di alienare questi momenti con incendi e altri piccoli scherzetti. Deus ex machina è stato il ‘vice’ di Thomas Edison, Edward H. Johnson, che il 22 dicembre 1882 portò un piccolo filamento di luci sulla 36esima strada. Fu un po’ un miracolo, un po’ un’apparizione nella notte: a differenza della cera, l’elettricità era ancora cara e si dovette attendere qualche anno perché quella strada non rimanesse isolata.  Oggi invece, le luci sono decisamente restie a rimettersi nello scatolone dopo il cenone (chi è senza peccato, scagli la prima presa); avvistamenti sono registrati spesso fino a Pasqua. Se la cera è stata da rottamare, non c’è dubbio che le luci siano diventate il sigillo lungo del Natale.    Onomastico: Santa Francesca Saverio Cabrini

21 dicembre: solstizio d’inverno 

Immaginiamo un inverno depurato dai toni del Natale: chiudendo gli occhi, quale sarebbe il primo colore che viene in mente? Abbiamo davvero pochi candidi dubbi. Bianco arriva dal tedesco “blank”, termine che evocava la luminescenza delle armi. Ci suona pertanto strano veder associato questo colore al giorno che, in fatto di luce, è il più avaro dell’anno: se di scorpacciate di sole si parla, allora il 21 dicembre sarebbe un pasto frugale. Ma come “ground zero”, il bianco è anche il tono degli inizi, anche di quelli più piccoli e quotidiani. La nostra civetta, che ci accompagna nella lunga notte dell’anno, ha preso forma mettendo insieme utensili simbolo della prima colazione e il suo candore vuole ricordarci, appunto, che ogni inizio ha sempre il suo fascino. “Bon petit-déjeuner et bon hiver”, allora!   Onomastico: San Pietro Canisio

Il 20 dicembre 1812 c’è la prima pubblicazione delle “Fiabe del focolare” dei fratelli Grimm

Le fiabe dei Fratelli Grimm hanno davvero poco a che fare con le versioni prodotte molti anni dopo da Walt Disney. Il loro glossario di immagini, infatti, era decisamente truce: questo perché erano ciò che rimaneva di antichissimi riti di iniziazione. Il primo a scoprire questo nesso è stato Vladimir Propp, lo studioso russo che passò al setaccio cento fiabe europee e americane, trovando trentuno funzioni comuni a tutte. Una di queste, vuole che a un certo punto l’eroe arrivi solo nel bosco e si trovi di fronte a una capanna fatta di zampe di gallina. Ci sembrerà strano, eppure anche nella nostra realtà il varco verso una terra di mezzo può essere sottolineato da un qualcosa: ad esempio, a Roma, un mostro ci apre la spelonca di una biblioteca (l’Hertziana, mondo ‘altro’ per eccellenza). Sempre sul ciglio di un bosco, in una nota serie tv c’è una casa dove si possono fare chiamate verso il mondo del “Sottosopra” (“Stranger Things”, 2016). Scendendo ancora di più nel piccolo del quotidiano, quale potrebbe essere un oggetto che ammalia e copre? Uno che è necessario (ma non strettamente), proprio come la fiaba sta al linguaggio parlato. Ecco, ci sembra proprio di averlo trovato: un guanto, manto per l’immaginazione. Onomastico: San Filogonio

Il 19 dicembre 1843 viene pubblicato “Canto di Natale” di Charles Dickens

Questo libro è stato scritto da Charles Dickens in pochissime settimane, e divenne sin da subito sinonimo di Natale. Al punto che, quando nel 1870 lo scrittore venne a mancare, una ragazza si chiese se fosse morto anche Babbo Natale. Questione di proprietà transitiva, la stessa che sperava di ottenere l’autore raccontando la storia dell’avaro Mr. Scrooge, che dovette fare un itinerario nel tempo con ben tre fantasmi di Natale (del passato, del presente e del futuro), prima di capire che era il caso di rimboccarsi le maniche. La morale che si trova infatti nello scantinato del romanzo, ci suggerisce che dovremmo conservare questa porporina natalizia (si legge buoni propositi e to do list), ben oltre i giorni di festa. La domanda fondamentale, però, è se i vizi capitali sono qualcosa su cui possiamo lavorare, oppure se fanno parte della corteccia cerebrale primitiva, quella che il neuroscienziato Donald MacLean, negli anni ‘70, definiva come “the lizard brain” (la sede degli impulsi primari). Abbiamo venti giorni di festa e un intero anno per sperimentare e monetizzare… Il test, può iniziare. Onomastico: Sant’Urbano V, Papa