A chi calza la Pasqua

PERCHÉ LE AZIENDE HANNO BISOGNO DI LEADER GENTILI Se un noto motto si chiede se sia nato prima l’uovo o la gallina, la stessa cosa potrebbe valere per chi ha la patria potestà sul tema Pasqua: coniglio o lepre? Certi che la risposta ricadrebbe sul primo, dobbiamo invece dire che inizialmente era un affare da lepre, dea dei boschi, fertile e veloce, e non solo al galoppo: era infatti la prima, tra gli animali della foresta, a svegliarsi dal letargo per far capolino tra le primule di marzo. Tutte queste coincidenze – di tempo e di specie – ne facevano l’animale che per eccellenza aveva voce in capitolo per parlare di Pasqua. Ad un certo punto, però, è avvenuto lo switch, per cui il coniglio diventa l’animale che porta in dono le uova ai bambini per Pasqua (una tradizione attestata in Germania tra Medio Evo e Rinascimento). È questo un animale del tutto diverso e decisamente pantofolaio: se la lepre corre, lui si rintana. Ma la comfort zone non è detto che sia sempre qualcosa da cui venir fuori. Ad esempio, il nostro esemplare alla buon’ora è pronto a srotolarsi per fare il pieno d’uova: chiamiamola pure calza pasquale. Buona Pasqua da tutto il team di Inarea Identità stagionali Joseph Jastrow, psicologo della fine dell’800, sottopose quest’immagine a un gruppo di bambini: la domenica di Pasqua vi riconoscevano un coniglio, mentre a ottobre un’anatra… l’immagine del “coniglio-anatra” è l’“illusione interpretativa” per eccellenza. MadeInarea Coniglio o lepre? Italo non aveva dubbi su chi dovesse incarnare un’idea di velocità e di leggerezza al tempo stesso. Noi le abbiamo forma e trasformata in un brand conosciuto e amato (anno 2011).

Amori e altri Grand Tour

Una fuga romantica dalla Brexit. Un articolo apparso sul Times la scorsa settimana parla di un accordo tra Italia e Regno Unito per un visto speciale: i cittadini inglesi freelance potranno lavorare un anno nello Stivale. Ma non sono solo i veti doganali ad accomunare questo Grand Tour del terzo millennio a quello del Settecento, c’è anche un certo driver sentimentale: una fuga dal cloudy grey alla volta del sole, col favore tutto contemporaneo del cloud. Il quotidiano britannico promette uno «slice of la dolce vita»: ecco, non si esce proprio da un certo brand italiano. Fortuna che ci pensa la storia a spargere i pollini. Nell’800, Mary Shelley ci ha lasciato un taccuino del suo viaggio in Italia che sta proprio stretto nel formato cartolina: parla di Carboneria (non carbonara), dei moti e della cultura italiana che fiorì – clandestina – sotto l’aquila dello stemma d’Austria. Per cui, cari nomadi inglesi, vi aspettiamo per raccontarci qualcosa di noi che ancora non sappiamo. Ovviamente, il giro in Vespa e una sosta sotto un campanile per un «m’ama non m’ama» lo offriremo noi: non tutto ciò che è “branded” è appassito.

PPP

Se è vero che la parte precede il tutto, tre consonanti uguali, in Italia, nell’anno 2022 (che si qualifica con ben tre due), sembrano richiamare solo Pier Paolo Pasolini, di cui ricorrono i cento anni dalla nascita. Ma, di fronte a una combinazione di lettere come PPP, l’istinto alla disobbedienza fa deragliare la nostra immaginazione… Per cui, la prima parola fuori dal binario è Pompeii, scoperta proprio il 1 aprile 1748 sotto Carlo di Borbone: spagnolissimo sì, ma per metà DNA italiano. Sua madre era Elisabetta Farnese, che gli lasciò in eredità Tiziano, Raffaello e molti altri zecchini d’oro del Rinascimento. Carlo lì trasferì da Parma, il ducato della mamma, verso Capodimonte: in fondo, erano tutti affetti suoi e il re poteva farne quel che voleva. Oggi, 80 tra questi capolavori tornano per un breve soggiorno a “casa”, in occasione di una mostra al Complesso della Pilotta dedicata ai Farnese. La nostra seconda “P” è così una linea tracciata tra le due città. La terza, si mette a metà tra le prime due come un nastro biadesivo. Sembra che un giorno, in procinto di tornare in Spagna, Carlo trovò a Pompei un anello antico, che lasciò simbolicamente in consegna agli scavi. Così facendo, e un po’ involontariamente, il re pose le basi per quella che oggi chiamiamo tutela: un altro modo di intendere gli “affetti” suoi. Pompei, Parma e Patrimonio, una bella storia che (non sappiamo quanto) l’altro PPP sarebbe stato felice di ascoltare. Tutto vero, in ogni caso, l’unica palla è il nostro pesce, che si sta srotolando per augurarvi buon primo aprile!

Che genere di papà sei?

Quali sono i più candidi esempi che ci offre la lingua sulla relazione tra forma e funzione? Le parole che indicano i genitori: perché papà (così come mamma), nascono da una piccola esplosione di gioia, formato palato e sillaba. E dunque, il papà, che genere ha? C’è una desinenza in vocale aperta, ma dalla Toscana bussano a ricordarci l’esistenza di “babbo”, un geosinonimo – per dirlo in gergo tecnico – di tutt’altra foggia (senza riferimenti all’omonima città). A noi piace pensare che ogni genitore può essere sui generis, mescolando forma e funzione come meglio vuole. Magari sarà un (o un’) elettricista che fa la maglia: sarebbe un perfetto collaudatore di emozioni… Scherziamo un po’ tra immagini e parole, per ricordarci che queste decollano proprio in questo modo: in principio era un gioco linguistico, diceva Wittgenstein, un signore che, su questi temi, ci si è arrovellato parecchio. Questa leggerezza, però, non la ritroviamo nel dibattito su come si sta evolvendo il linguaggio. Indipendentemente da come vogliamo schierarci, teniamo solo a mente che lei, la lingua, non ne è minimamente scossa. Potremmo immaginarla come una divinità, sovrana e pigra sul sofà; nel passato ha accettato prestiti, troncamenti, anglicismi ed elisioni, a patto che non intaccassero minimamente la sua comfort zone. Per dirla con un’immagine, la lingua consegna al futuro solo quello che entra nelle maglie strette del suo modus “vivendi”. Dunque, buona festa del papà domani (all’insegna della spontaneità!).

Che weekend sarai?

Il Carnevale di Venezia non si è concluso poi da molto e se Alessandro Mendini avesse potuto realizzare il progetto del Ponte dell’Accademia (Biennale 1980), sarebbe stato uno sbuffo rococò sull’acqua, praticamente una maschera felliniana. Il designer ci ricorda uno scenografo che ammanta le cose, seguendo il filo nascosto di una citazione sparsa, leggiadra, un tantino beffarda. La ritroviamo nella poltrona Proust (1978), che ci invita a sederci come il Re Sole, sui puntini di Paul Signac. Scendiamo invece nei sotterranei della fucina di Vulcano dove, più o meno negli stessi anni, un altro designer era convinto che il lavoro (inteso come una fricassea di materiali, consistenze e rumori), potesse entrare in blocco in un disegno nuovo; letteralmente, come fa la lumaca nella chiocciola. Ed ecco Marco Zanuso con la sua Lady, la poltrona imbottita con il poliuretano di quelle automobili che, nel ‘51, magari gli italiani speravano già di poter comprare. Due modi diversi di abitare la vita e la casa. Per Mendini, stiletto e merletto, è quel luogo che permette di esser “pigri solo il sabato mattina”: lo scrive nelle canzoni di Architettura Sussurrante, il disco prodotto insieme ai Matia Bazar nel 1983 e di cui il MoMA, sembra, ne conservi una copia… Zanuso non riesce invece proprio a pensare a una domus pigra di zelo e nel 1956 arriva il Compasso d’Oro per la Macchina da Cucire Borletti. I due, il sarto e il costumista, di questi premi ne vinceranno in tutto dieci. Domani, sabato mattina, potremmo allora scegliere se sarà un weekend post-moderno o ancora modernista. Ma l’occasione per far quadrare il cerchio ci è data da una mostra aperta proprio in questi giorni all’ADI Design Museum. Ovviamente, sotto la protezione della beata pigrizia.

Quale la prossima mossa?

Nel 2007, un articolo apparso su La Stampa ci regalava l’immagine di una “mossa del cavallo” che, applicata agli allora rapporti Minsk/Mosca, lasciava già pochi dubbi su chi fosse lo stratega. Facebook esisteva da qualche anno (2004) eppure, come social, era ancora pavido verso i senior “media”. Nel 1940, mentre i tedeschi invadevano Parigi, Marc Bloch si ferma a riflettere sulla storia. Sente il bisogno di “difenderla” e, per questo, vaglia tutto della sua materia; soppesa anche il ruolo delle testimonianze che chiama “volontarie”, come, ad esempio, gli articoli di giornale. Materiale prezioso per lo storico, ma solo in apparenza: il loro interesse è più per quello che lasciano intendere che per ciò che dicono espressamente. E che cosa trapela dalle dieci, cento, mille testimonianze che, in questi giorni, ci colpiscono minuto per minuto? Frammentarietà ed emotività, decisamente a briglia sciolta. Forse il lettore (e lo storico di domani), avrebbero bisogno di un po’ di ecologia dell’informazione: un filtro per orientarsi nel buzz di questa galassia chiamata Meta. Ecco pronta la sfida dei media su questa scacchiera, restituire cioè al cavallo / lettore la sua mossa più autentica: un libero (non a caso è a “L”) movimento di pensiero, in un perimetro certo. Pronti a disegnarlo?

Vissi d’arte

Difficile alimentare speranze quando, non tanto lontano da qui, la parola passa alle armi. Preferiamo però mantenere il nostro taglio: oggi, 25 febbraio 2022, ci prendiamo comunque una licenza poetica per ricordare che il Guggenheim di Bilbao ha avviato le feste per i 25 anni di occupazione felice del suolo della città basca. Culmineranno ad ottobre, ma intanto il palinsesto è scaldato da una mostra di Jean Dubuffet (che aprirà proprio oggi), e un’altra che ci ricorda ciò che di meglio è successo in Europa tra le due guerre: Fauvismo, Cubismo, la “Scuola di Parigi” e il Surrealismo. Si potrebbe pensare al “nostro” Futurismo come grande escluso (anche se non mancano Modigliani e De Chirico). Eppure, è lo stesso edificio di Frank Gehry che rende omaggio a quelle forme uniche di continuità nello spazio di Umberto Boccioni, il più acuto ed europeo tra gli artisti italiani del movimento. La porta del Pantheon, per lui, si aprirà troppo presto, perché la Prima Guerra Mondiale recise una vita di soli 34 anni. Strana assonanza, in una settimana scandita da una parola che tutti vorremmo fosse afona. Perché ci volgiamo, dunque, al compleanno del Guggenheim (e anche di Gehry, che tra tre giorni ne compirà 92)? Per ricordare l’importanza di tagli netti e di nutrimenti alternativi. Il museo ha significato entrambe le cose per l’economia di Bilbao. E vedere artisti europei sotto il suo stesso tetto (anche russi e ucraini), restituisce un’idea di Europa come nido sicuro; una piccola zona di conforto, nonostante tutto.

Cosa ti sei messo in testa?

Questo cappello ha un nome e un cognome: ama particolarmente il millimetro, le notti insonni e gli eccitanti. Eppure, oggi, non sarà la giornata di Sherlock Holmes. Gilbert Keith Chesterton: a qualcuno forse dice poco, per cui, a noi il compito delle presentazioni. È quasi contemporaneo di Conan Doyle, con cui condivide anche i natali di fine maggio; non ne è però il gemello, ma un alter ego. Il perché, si trova nei Racconti di Padre Brown, e già a partire dalle livree: se Holmes è, per standing, un pigmalione, il secondo si presenta volutamente come un prete, senza pretese. Eppure, è proprio così che Chesterton ci trae in inganno. Continuiamo nel percorso: mentre il gentlemen di Baker Street è il decano del ragionamento deduttivo, Padre Brown è, piuttosto, un campione del contropiede induttivo. L’emozione: è proprio questa che mette all’angolo i criminali e che, si badi, per il chierico non hanno nulla a che fare con i ladri comuni. I più fini sono coloro che pensano troppo ed è lì che Brown trova il suo diletto; scava a fondo in cerca del petrolio, facendo però credere al suo interlocutore di usare solo paletta e secchiello da spiaggia. Per chiudere, se Holmes riusciva a trovare il fallo nella trama millimetrica dell’ordito, Padre Brown cerca piuttosto un rammendo nascosto. Cosa ci siamo messi in testa oggi? Mai sottovalutare il ruolo delle emozioni, potrebbero rivoltarci come un calzino. Onomastico San Giuseppe da Leonessa

Programmi d’amore?

Porto Venere è un pertugio sul Mar Ligure bagnato non solo dalla dea dell’amore, ma anche dalla fatica del poeta Lord Byron, quando fece a nuoto il tratto di mare fino a Lerici. In Inghilterra, Byron difendeva il Luddismo, quel movimento che distruggeva i telai appena sfornati dalla rivoluzione industriale: erano considerati una minaccia per il lavoro artigianale. Ora, la figlia che Byron non ha mai conosciuto, Ada Lovelace (1815-1852), è invece considerata la madre del linguaggio di programmazione. Il suo quid è stato capire che l’algoritmo poteva andare oltre i numeri, generando simboli, parole, persino note. Esso, però, non sarà mai immaginifico, notava Ada; per funzionare non potrà mai fare a meno della macchina umana. Riassumendo, la figlia di un poeta crea un dispositivo che, per funzionare, avrà sempre bisogno di poesia. Ci sembra un bel modo di parlare d’amore, a tre giorni da San Valentino. Nel suo caso, può valere anche il women nomen: “love” e “lace”, amore e pizzo (ma anche laccio): avrà forse dovuto stringer bene quelli dei suoi guantoni, per fare il mestiere che amava? Non dimentichiamo che passò la sua breve vita come “fidanzata professionale” di molti matematici uomini. Ah, oggi è la Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza: un amore complicato solo dalla storia e da come ci è stata – a volte – tramandata

Disegnare sulla Muraglia Cinese

Quando Marina Abramović e Ulay decisero di esaurire il loro elisir d’amore, lo fecero con un atto che faceva parte della loro memoria genetica di europei, e romantici: attraversare la Muraglia Cinese a piedi, per un ultimo abbraccio nel bel mezzo. Tra la decisione e l’atto, ci fu però una lunga stasi diplomatica: il muro più grande era quello della Repubblica Popolare Cinese, che tentennava con i permessi non perché i due non fossero graditi, ma perché nessun cittadino dagli occhi a mandarla aveva tentato l’impresa prima di allora; solo dopo uno di loro, il varco poteva essere aperto anche agli “altri”. E così è stato. Se il 2021 è stato un po’ il mastro tintore dell’identità italiana nel mondo, ci piace ricordare che il primo europeo ad aver sfondato quella muraglia è stato un diciassettenne di nome Marco, di cognome Polo. Non solo. Il giovane portò a termine diverse missioni diplomatiche per conto del Kubilai: pare che l’imperatore si fidasse del suo punto di vista “alternativo”. E se ancora una volta la memoria genetica non ci inganna, un veneziano sa che l’acqua cheta è meglio usarla per tenere a galla rapporti, piuttosto che sfondare ponti. Sarà che il 2022, per il calendario cinese, è anche l’anno della tigre d’acqua… E quindi, l’augurio per i nostri atleti in trasferta è continuare a disegnare il nostro “Milione”: certi che le medaglie non siano altro che l’altra faccia dello stile e dell’ispirazione. Onomastico San Giuseppe da Leonessa