Che genere di papà sei?

Quali sono i più candidi esempi che ci offre la lingua sulla relazione tra forma e funzione? Le parole che indicano i genitori: perché papà (così come mamma), nascono da una piccola esplosione di gioia, formato palato e sillaba. E dunque, il papà, che genere ha? C’è una desinenza in vocale aperta, ma dalla Toscana bussano a ricordarci l’esistenza di “babbo”, un geosinonimo – per dirlo in gergo tecnico – di tutt’altra foggia (senza riferimenti all’omonima città).

A noi piace pensare che ogni genitore può essere sui generis, mescolando forma e funzione come meglio vuole. Magari sarà un (o un’) elettricista che fa la maglia: sarebbe un perfetto collaudatore di emozioni… Scherziamo un po’ tra immagini e parole, per ricordarci che queste decollano proprio in questo modo: in principio era un gioco linguistico, diceva Wittgenstein, un signore che, su questi temi, ci si è arrovellato parecchio.

Questa leggerezza, però, non la ritroviamo nel dibattito su come si sta evolvendo il linguaggio. Indipendentemente da come vogliamo schierarci, teniamo solo a mente che lei, la lingua, non ne è minimamente scossa. Potremmo immaginarla come una divinità, sovrana e pigra sul sofà; nel passato ha accettato prestiti, troncamenti, anglicismi ed elisioni, a patto che non intaccassero minimamente la sua comfort zone. Per dirla con un’immagine, la lingua consegna al futuro solo quello che entra nelle maglie strette del suo modus “vivendi”. Dunque, buona festa del papà domani (all’insegna della spontaneità!).