Di cosa parliamo quando parliamo d’amore

Oggi è il giorno prima del 14 febbraio e qualche lettore con i capelli trafilati all’argento ricorderà un proverbio che parlava della solita minestra, o di voli dalla finestra; il motto era stato poi ripreso anche da una pubblicità. La chiameremo routine, certo. Ma siamo sicuri che sia un vincolo così cieco? Parlare d’amore potrebbe implicare realizzare che molte cose derubricate come “minestra” non solo esistono, ma si può addirittura parlarne “anche se (o proprio perché) non sai esattamente di cosa parli”, scrive Diego De Silva nella prefazione di un libro di Raymond Carver che dà il titolo all’appuntamento di oggi. Potremmo cominciare a contare tutte le azioni che non saltano mai la staccionata del memorabile, magari le fette biscottate già spalmate o il caffè fumante. Amore, in realtà, è una marcia con chi ci apparecchia la vita.

Grazie dei fior?

La coltivazione dei fiori sulla costa ligure ci porta alla seconda metà dell’Ottocento, quando i contadini della riviera caricavano grandi ceste di rose e garofani sui treni diretti al continente; sembra che i nobili europei non resistessero a questi fiori speziati di maestrale e, ancora oggi, San Remo ha il primato nazionale nel settore. Nel 2022 l’Università di Torino ha usato l’intelligenza artificiale per processare 1741 canzoni del Festival dal 1951 in poi, seguendo le 8 emozioni definite come “fondamentali” dallo psicologo americano Plutchik: fiducia, sorpresa, disgusto, gioia, rabbia, paura, tristezza e anticipazione del futuro. Il risultato è abbastanza prevedibile, perché ciò che fa rima con stare-bene fa la parte del leone, col benestare di tutta la filiera: sull’onda del “positive bias”, se la melodia ha un suo che di rassicurante sarà allora canticchiata, dedicata e agguantata dai mass media, vecchi e nuovi. L’Accademia della Crusca già nel 2010 confermava con metodi analogici che in vetta a questa escalation c’è la parola amore, in assoluto la più ricorrente. C’è un fatto però, e cioè che nonostante questo giardino di delizie, il sentimento sanremese suona parecchie dolenti note: ogni tanto è smarrito, altre appassito, attenzione alle spine e soprattutto all’infedele. Ma se è vero che l’associazione di cane e fedeltà non è mai stata stonata, non ci resta che mettere il sentimento al guinzaglio e il problema sarà risolto “alla radice”.

Punti di fuga

Nei quadri il punto di fuga è il luogo in cui si raccoglie la prospettiva e l’occhio si ferma; chi ci dice che non preferirebbe vagare ancora? Un po’ come fa l’’“Astronomo” di Vermeer che oggi si trova al Louvre, ma un tempo era dei Rothschild, la famiglia di banchieri ebrei. L’opera entrò nelle brame del Führer e venne requisita nel 1940 quando i tedeschi presero Parigi: volevano salvarla dal collezionismo non-ariano, degenerato. Finito il conflitto l’opera tornerà in Francia ma sul retro è ancora impressa una piccola svastica. Più o meno negli stessi anni l’Italia pullulava di funzionari in abuso d’ufficio: prendevano le opere e le scortavano a bordo di una Topolino fino alle fortezze di provincia, dove erano più al sicuro dalle bombe; oppure si tenevano qualche giorno un Piero della Francesca in salotto pur di farlo rimanere a “casa”. È accaduto alla “Madonna di Senigallia” l’immagine che abbiamo scelto per raccontare la mostra “Arte Liberata. 1937-47” alle Scuderie del Quirinale. Il visitatore è invitato a proseguire il de-packaging del manifesto nelle sale espositive, dove troverà tutta l’epopea di questi “Monuments Men”. La mostra è aperta fino al 10 aprile ma ne parliamo oggi per ricordarci che la memoria è un allenamento: inizia ogni anno il 28 gennaio e prosegue fino al 27 di quello dopo. Il Bambino di Piero tiene in mano un fiore, ed è lì che immaginiamo il punto di fuga della nostra farfalla. Una pennellata che devia e torna alla storia grande, così da iniziare a non dimenticare. 

Giù dal letto

«C’era un silenzio che metteva paura» scriveva Perrault all’arrivo del principe al castello, prima di interrompere i cento anni di sonno della sua addormentata.  Ci vorrebbe una fiaba anche dopo una settimana che ci ha visti scendere un po’ a fatica dalla cometa, resistendo a quel tepore di casa che, un po’ furbo, allungava le braccia. Un escamotage servirebbe persino per il “Blue Monday”, che oggi esonderà sul web a ricordarci di essere un lunedì un po’ più cupo del solito. In realtà fu una trovata pubblicitaria di un’agenzia di viaggi che aveva “creato” questa giornata a partire da una strana formula matematica che incrociava freddo, ritorno al lavoro e poco sole; sarà smentita. Nella versione originale de “La bella addormentata nel bosco” la favola vola più a bassa quota di quanto ci potremmo aspettare: archiviato il risveglio, il principe e la principessa troveranno una suocera-regina madre da gestire, figli da proteggere e un castello da governare. Insomma, un vero e proprio colpo di spugna al consueto «vissero tutti felici e contenti»… E anche per noi, l’imperativo è ormai sveglia, doccia e via!

Buon anno a caso

C’è una parola che svolazza sempre al passaggio da un anno all’altro ed è almanacco che, nella sua origine araba, si riferisce alla proiezione di giorni e fasi lunari. Però anche l’oroscopo è un almanacco, la lista delle cose che faremo nei prossimi mesi è un almanacco, lo sono persino le rose da trapiantare. Gli inglesi chiamano questi propositi “new year’s resolution”: se non fanno cilecca, porteranno di sicuro piccole revolution. Abbiamo descritto in sostanza l’effetto butterfly, quel fenomeno studiato negli anni ’60 da Edward Lorenz secondo cui un battito d’ali di una farfalla in Cina può innescare una reazione a catena fino agli Stati Uniti. Mai sottovalutare, dunque, le piccole scelte del nostro microclima. Magari quest’anno non sarà tutto rose e fiori, ma abbiamo 52 settimane per non cadere nel retino. Ricordandoci che anche il caos, non è mai a caso. Buon anno!

Do you trust a sock?

Progettando un calendario chiamato Socksymbol volevamo dar voce a un indumento che di solito gioca in panchina. Grazie a un biennio rallentato – e a casa – il calzino si è ritrovato ad essere il giocatore della prima squadra, marcando stretto frigorifero e sofà. Col tornare alla vita vera, anche l’accessorio è tornato sottocoperta, ma non smette di esser quel diavoletto del dettaglio: colorato, spaiato, troppo lungo o corto, troppo leggero o pesante, rattoppato, sbrindellato e spesso decisamente fuori luogo. “Would you trust a man in socks and sandals?” si chiedeva il Guardian. Perché il calzino è sempre un po’ complice della prima impressione, tra frizzi e “lacci”. Largo invece ai pensieri che si prendono tempo per mettersi comodi; comodi anche nella mente dell’altro. Forse è l’elisir di un futuro al Filo di Scozia, ma per ora ci accontentiamo anche di un Natale che abbia stoffa. E intanto sta per fiorire il 2023… Buone Feste da Inarea

La misura delle parole

In questo mese misuriamo l’anno come se avessimo un abaco in mano. Ma niente paura, le parole “nuove” più citate sono spesso lontane dai grattacapi: di solito irrompono sbaragliando tutte le staccionate, come fanno le lettere del nome della persona amata o di chi sta per nascere. Eppure sono ben altre le parole in marcia sulla storia grande. Pantone ci aveva predetto a dicembre 2021 che il colore simbolo di questi mesi sarebbe stato il “Very Peri”, un indaco non troppo entusiasta della vita. Ma questo non vuol dire che la parola più cercata nel 2022 sia stata “war”.  Mai sentito parlare di “Wordle”? Lo dice il rapporto Year in Search di Google. Wordle è un gioco on line con cui bisogna indovinare una parola inglese di cinque lettere; ha incontrato così tanto il favore degli utenti da essere entrato nel pacchetto per gli abbonati del New York Times (sembra che centrare la combinazione giusta garantisca una certa dose di serotonina). Giocando e creando, Wordle lascia a Google un 2022 un po’ più “war-less”. In fondo, se le tattiche belliche dell’anno a tratti sono sembrate vicine al gioco d’azzardo, siamo autorizzati a spingerci un po’ più in là: tavole verdi, Risiko e cannoni schierati alla conquista della Kamchatka. Sarà pure il nostro gioco d’abbaglio, ma almeno restituisce un “war scenario” misurato.

Vita da pecora

La tradizione vuole che oggi si addobbi l’albero, la casa e si allestisca il presepe. Immaginiamo di planare su un classico del Natale: New York, Fifth Avenue e Metropolitan Museum; anche qui stanno per accendersi abete e presepe. Eppure, la “gloria in excelsis Grande Mela” non è per nulla autoctona: tutte le figurine che decorano l’albero del MET sono statue originali del ‘700 napoletano. Quello che ci attira dei presepi è forse il loro essere una polaroid, che emerge ogni anno dal filtro di polvere e nostalgia. Il brulicare dei tipi capta ogni nostro temperamento, anche se si sconsiglia di riconoscersi nell’oste, qui figura malefica per eccellenza. Di importante, invece, c’è il copione e ogni personaggio vive in funzione del centro, o del paio, basti pensare ad esempio al bue e all’asinello. La scenografia è dogma: guardiamo il presepe più famoso al mondo, quello della Certosa di San Martino di Napoli, con gli stessi occhi di chi l’ha donato e allestito duecento anni fa, il collezionista Cuciniello. Le uniche figure ad avere una certa libertà dal guinzaglio del canovaccio sembrano le pecore: non è raro vederle appollaiate sul cucuzzolo del tempio, o vagare in ordine sparso. Da Manhattan a San Gregorio Armeno, si chiude un occhio su un certo aplomb pastorale. E chissà se cento giorni da pecora cancelleranno, prima o poi, quell’unico da leone: un animo temperato, in ogni caso, finisce sempre per lasciare il segno.

Mettiti comodo e “mangia”

Alla Fondazione Prada di Milano Rem Koolhaas e Salvatore Settis appoggiano un sarcofago romano su una scrivania: l’osservatore è tenuto a sedersi sulla sedia d’ufficio e guardare lo stralcio di marmo. Quasi un invito – esplicito – a non cedere alla distrazione. L’idea di una vista “comoda” era stata proprio dei romani: quando innalzarono la Colonna Traiana sapevano che, salendo in cima alla Basilica Ulpia, si poteva assaporare la guerra di Dacia a millimetro zero, da una terrazza. Nel tempo quell’architettura è diventata una commodity, una merce alla mercé del momento; infatti, della basilica non rimane quasi traccia (la Colonna si è salvata perché riutilizzata come campanile di una chiesa). Commodity arriva dal francese “commodité” e vuol dire che qualcosa è ottenibile “comodamente”. Una commodity si mimetizza nella nostra vita, tanto che spesso non la notiamo; a patto che non ci sia una qualche interruzione del segnale. Una zuppa su un quadro può esser considerata tale? In un certo senso sì, se è vero che i “Girasoli” di Vincent Van Gogh sono parte del nostro domestic landscape: con disinvoltura avvolgono desktop, cravatte e tazze.  Domenica prossima, 4 dicembre, ci sarà l’ingresso gratuito nei musei pubblici italiani (per chi vive a Londra è un privilegio quotidiano). Scongiurando altri happening al pomodoro, potremmo essere noi a vincere questo round, scegliendo un solo capolavoro: chissà se guarderemo un Parmigianino come il grande Alberto Sordi faceva con il suo piatto di maccheroni. Buon appetito.   

Snail Friday

Nei libri d’ore medievali c’era una sezione libera dai doveri devozionali. In gergo tecnico questi piccoli disegni venivano chiamati “Marginalia” ed erano il libero antro della fantasia del decoratore. Tra le immagini più strambe e popolari c’era quella di un cavaliere in duello contro una chiocciola; e, fatto ancora più buffo, non era l’animale a perdere. La cosa ha attirato un ventaglio di interpretazioni: attenzione al parassita dell’orto, un monito contro gli arrampicatori sociali, la guerra senza speranza dei poveri verso i ricchi, o contro i Longobardi. Gli studiosi hanno parlato di un simbolo troppo invischiato nei bassifondi quotidiani per sposarsi con un unico e innegabile significato.  Nell’informatica la chiocciola connette. Ma il segno moderno arriva dal commercio e dai libri paga e indicava che un certo prodotto era venduto “at the price of”. A pensarci bene, è un’evocazione che calza perfettamente con il mese di novembre: tempo di Black Friday e di una certa libidine dell’acquirente. Saremo un po’ i Lancillotti di questi tornei tra le cyborg folle. E forse, come i nostri avi, perderemo il duello e il senno. Proprio nessuno resisterà all’ineluttabile canto del “price” della chiocciola: sarà corsa all’affare, anche se dovesse manifestarsi sotto forma di calzino, color tappezzeria della nonna. Chi vuole scommettere?