Do you trust a sock?

Progettando un calendario chiamato Socksymbol volevamo dar voce a un indumento che di solito gioca in panchina. Grazie a un biennio rallentato – e a casa – il calzino si è ritrovato ad essere il giocatore della prima squadra, marcando stretto frigorifero e sofà. Col tornare alla vita vera, anche l’accessorio è tornato sottocoperta, ma non smette di esser quel diavoletto del dettaglio: colorato, spaiato, troppo lungo o corto, troppo leggero o pesante, rattoppato, sbrindellato e spesso decisamente fuori luogo. “Would you trust a man in socks and sandals?” si chiedeva il Guardian. Perché il calzino è sempre un po’ complice della prima impressione, tra frizzi e “lacci”. Largo invece ai pensieri che si prendono tempo per mettersi comodi; comodi anche nella mente dell’altro. Forse è l’elisir di un futuro al Filo di Scozia, ma per ora ci accontentiamo anche di un Natale che abbia stoffa. E intanto sta per fiorire il 2023… Buone Feste da Inarea

La misura delle parole

In questo mese misuriamo l’anno come se avessimo un abaco in mano. Ma niente paura, le parole “nuove” più citate sono spesso lontane dai grattacapi: di solito irrompono sbaragliando tutte le staccionate, come fanno le lettere del nome della persona amata o di chi sta per nascere. Eppure sono ben altre le parole in marcia sulla storia grande. Pantone ci aveva predetto a dicembre 2021 che il colore simbolo di questi mesi sarebbe stato il “Very Peri”, un indaco non troppo entusiasta della vita. Ma questo non vuol dire che la parola più cercata nel 2022 sia stata “war”.  Mai sentito parlare di “Wordle”? Lo dice il rapporto Year in Search di Google. Wordle è un gioco on line con cui bisogna indovinare una parola inglese di cinque lettere; ha incontrato così tanto il favore degli utenti da essere entrato nel pacchetto per gli abbonati del New York Times (sembra che centrare la combinazione giusta garantisca una certa dose di serotonina). Giocando e creando, Wordle lascia a Google un 2022 un po’ più “war-less”. In fondo, se le tattiche belliche dell’anno a tratti sono sembrate vicine al gioco d’azzardo, siamo autorizzati a spingerci un po’ più in là: tavole verdi, Risiko e cannoni schierati alla conquista della Kamchatka. Sarà pure il nostro gioco d’abbaglio, ma almeno restituisce un “war scenario” misurato.

Vita da pecora

La tradizione vuole che oggi si addobbi l’albero, la casa e si allestisca il presepe. Immaginiamo di planare su un classico del Natale: New York, Fifth Avenue e Metropolitan Museum; anche qui stanno per accendersi abete e presepe. Eppure, la “gloria in excelsis Grande Mela” non è per nulla autoctona: tutte le figurine che decorano l’albero del MET sono statue originali del ‘700 napoletano. Quello che ci attira dei presepi è forse il loro essere una polaroid, che emerge ogni anno dal filtro di polvere e nostalgia. Il brulicare dei tipi capta ogni nostro temperamento, anche se si sconsiglia di riconoscersi nell’oste, qui figura malefica per eccellenza. Di importante, invece, c’è il copione e ogni personaggio vive in funzione del centro, o del paio, basti pensare ad esempio al bue e all’asinello. La scenografia è dogma: guardiamo il presepe più famoso al mondo, quello della Certosa di San Martino di Napoli, con gli stessi occhi di chi l’ha donato e allestito duecento anni fa, il collezionista Cuciniello. Le uniche figure ad avere una certa libertà dal guinzaglio del canovaccio sembrano le pecore: non è raro vederle appollaiate sul cucuzzolo del tempio, o vagare in ordine sparso. Da Manhattan a San Gregorio Armeno, si chiude un occhio su un certo aplomb pastorale. E chissà se cento giorni da pecora cancelleranno, prima o poi, quell’unico da leone: un animo temperato, in ogni caso, finisce sempre per lasciare il segno.

Mettiti comodo e “mangia”

Alla Fondazione Prada di Milano Rem Koolhaas e Salvatore Settis appoggiano un sarcofago romano su una scrivania: l’osservatore è tenuto a sedersi sulla sedia d’ufficio e guardare lo stralcio di marmo. Quasi un invito – esplicito – a non cedere alla distrazione. L’idea di una vista “comoda” era stata proprio dei romani: quando innalzarono la Colonna Traiana sapevano che, salendo in cima alla Basilica Ulpia, si poteva assaporare la guerra di Dacia a millimetro zero, da una terrazza. Nel tempo quell’architettura è diventata una commodity, una merce alla mercé del momento; infatti, della basilica non rimane quasi traccia (la Colonna si è salvata perché riutilizzata come campanile di una chiesa). Commodity arriva dal francese “commodité” e vuol dire che qualcosa è ottenibile “comodamente”. Una commodity si mimetizza nella nostra vita, tanto che spesso non la notiamo; a patto che non ci sia una qualche interruzione del segnale. Una zuppa su un quadro può esser considerata tale? In un certo senso sì, se è vero che i “Girasoli” di Vincent Van Gogh sono parte del nostro domestic landscape: con disinvoltura avvolgono desktop, cravatte e tazze.  Domenica prossima, 4 dicembre, ci sarà l’ingresso gratuito nei musei pubblici italiani (per chi vive a Londra è un privilegio quotidiano). Scongiurando altri happening al pomodoro, potremmo essere noi a vincere questo round, scegliendo un solo capolavoro: chissà se guarderemo un Parmigianino come il grande Alberto Sordi faceva con il suo piatto di maccheroni. Buon appetito.   

Snail Friday

Nei libri d’ore medievali c’era una sezione libera dai doveri devozionali. In gergo tecnico questi piccoli disegni venivano chiamati “Marginalia” ed erano il libero antro della fantasia del decoratore. Tra le immagini più strambe e popolari c’era quella di un cavaliere in duello contro una chiocciola; e, fatto ancora più buffo, non era l’animale a perdere. La cosa ha attirato un ventaglio di interpretazioni: attenzione al parassita dell’orto, un monito contro gli arrampicatori sociali, la guerra senza speranza dei poveri verso i ricchi, o contro i Longobardi. Gli studiosi hanno parlato di un simbolo troppo invischiato nei bassifondi quotidiani per sposarsi con un unico e innegabile significato.  Nell’informatica la chiocciola connette. Ma il segno moderno arriva dal commercio e dai libri paga e indicava che un certo prodotto era venduto “at the price of”. A pensarci bene, è un’evocazione che calza perfettamente con il mese di novembre: tempo di Black Friday e di una certa libidine dell’acquirente. Saremo un po’ i Lancillotti di questi tornei tra le cyborg folle. E forse, come i nostri avi, perderemo il duello e il senno. Proprio nessuno resisterà all’ineluttabile canto del “price” della chiocciola: sarà corsa all’affare, anche se dovesse manifestarsi sotto forma di calzino, color tappezzeria della nonna. Chi vuole scommettere?

Carlo Emilio Cracco

Trionfo di bufala del caseificio “Fienolento” di San Gregorio, su letto di misticanza e pomodorino IGP dell’azienda “Concime Ingrato”. Scherziamo un po’, ma deve esser capitato a molti di imbattersi in questo tipo di menù barocco. Quando arriva il piatto rimane però un certo minimalismo in bocca: in fondo si tratta di mozzarella su un po’ di insalata. Uno stile da cui sembrano prendere le distanze i cuochi stellati, premiati o confermati proprio in questi giorni dalla Guida Michelin 2023 con una, due o tre stelle. Sbocconcellano i piatti come fosse una formazione calcistica: “sogliola, lattuga e bergamotto”, “fieno e camomilla”. Ogni tanto fanno capolino un “assoluto di cipolle” o la “gallinella di mare ‘indecisa’”, ma in generale lo stile è secco; dobbiamo fidarci dei nostri condottieri. Effettivamente, negli ultimi anni ci sono stati presentati un po’ come i generali dell’abbattitore, al grido di comando di “EVO e prima qualità”. Ma non è solo colpa della televisione, il tutto arriva da più lontano. “Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!” questo era Carlo Emilio Gadda, nato come oggi nel 1893 e che non ammetteva deroghe all’“ufficio risottiero”. I cuochi lo sanno che c’è della comunicazione a monte di tutto questo rigore: fa allure e stile. Ma in fondo in fondo, sono altrettanto consapevoli che nel regime ordinato non c’è creazione (il panettone nasce da un errore). Per cui, ecco la nostra insalatina assemblarsi solo come fantasia comanda. Sicuri che a Gadda sarebbe parso un “pasticciaccio”: di Via Merulana no, sicuro di Casa Inarea.

Flirt & filtri

In questo autunno, i social network ci stanno offrendo un giro del mondo piuttosto interessante. C’è ad esempio il Metaverso che ha appena compiuto un anno, ma sembra popolato come l’Antartide. Quanto a traffico, con TikTok planiamo su una strada di Pechino all’ora di punta. Instagram ci regala l’esperienza di un suk a Marrakech: c’è del baccano e si vende. Facebook è una cittadina del Midwest alle prese con lo spopolamento. Cosa rimane? Twitter che forse con Elon Musk dovrà conquistare altri pianeti (si legge nuovi segmenti di utenti). Qualcuno forse si è accorto che in questo tour manca l’Europa, un po’ assonnata negli anni dell’affermazione delle piattaforme social. BeReal è stata creata nel 2020 da un team francese, ma si sta facendo notare adesso. Permette di condividere solo foto del momento esatto che si sta vivendo: arriva una notifica e parte un countdown di due minuti. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per pubblicare. Un po’ una corsa contro il tempo, come fu il viaggio di Phileas Fogg e del suo assistente Passepartout: non sappiamo infatti se BeReal resisterà alla sete di novità, o ai cloni. Però quest’app porta a galla una cosa: i contenuti hanno bisogno di un tagliando, cominciamo a fidarci poco. Forse il nostro occhio, diventato un po’ troppo pigro, dovrebbe allentare questo flirt con le immagini e iniziare a guardarle dalla giusta distanza. Dall’alto, appunto! Partiamo…

“Marry” Halloween!

Ci sono dei contenuti che devono vagare un po’ prima di trovare la loro “forma” gemella; ed è il caso di questa storia. Sappiamo che la festa di “All Hallows Eve” affonda le radici nel paganesimo Celtico: in questa notte le anime dei defunti avevano un permesso speciale per la ZTL del mondo dei vivi. Più tardi, arriva la leggenda di Stingy Jack, l’uomo che non si limitò a un patto con il diavolo, lo mise proprio nel sacco. Facendosi beffe del bene e del male, venne diligentemente messo alla porta, sia dell’Inferno che del Paradiso. Così, in Irlanda, si cominciarono a scolpire piccole facce diaboliche sulle rape, per tentare di tenere un po’ a bada quest’anima inquieta. Ma se da un ravanello non è mai nato un mito, forse ci sarà un motivo… Molti secoli dopo, quando gli Irlandesi emigrarono negli Stati Uniti d’America, vi trovarono anche la zucca locale, che era molto più spumeggiante e paffuta di quella europea. Il fantasma di Jack aveva trovato la sua anima gemella e sarà un matrimonio mistico, perché la Jack-o’-lantern diventerà il simbolo indiscusso di Halloween. A volte, le forme migliori nascono da una buona dose di sale in zucca, ma questa storia ci dà ragguagli importanti per non sottovalutare mai gli incontri di fortuna. E il marketing ringrazia, con tanto di cappello.

Colpo di coda

Il bassotto racconta un po’ la storia di un vorrei ma non posso. I manuali ci dicono che di temperamento sia affabile, optional però riservato ai conoscenti stretti (pare); vorrebbe essere un cane da difesa, ma la stazza non lo aiuta. La sconfitta nel gotha animale arriva dopo la Prima Guerra Mondiale: c’è da premettere che nonostante fosse il simbolo della Germania, in Inghilterra aveva popolarità da vendere, era il pet preferito della Regina Vittoria. Tuttavia, dopo la caduta del Primo Reich, si diffuse una vignetta che lo raffigurava tra le fauci di un grosso bulldog inglese: la scritta «Got him!» lasciava pochi dubbi su vincitori e vinti e l’indice di gradimento scese a picco. Arriva poi un tentativo di lasciare un’impronta nel mondo del cibo: l’hot-dog venne commercializzato inizialmente con il nome di “dachshund sausage” (letteralmente “salsiccia di bassotto”) per una somiglianza quasi ovvia; naming che abdica presto. La Germania non si arrende e, nel 1972, è scelto come mascotte delle Olimpiadi di Monaco, quelle però passate tristemente alle cronache. Prima di srotolare questo esemplare e riporlo nel cassetto, ci viene in soccorso la prima storia, la più autentica: questa razza si è sempre distinta per esser abile nella caccia. La sua specialità sono i tassi, che rincorre e stana a meraviglia. Specie che oggi, in Europa, è tutto fuorché estinta. Energia, mutui, inflazione: è tutto un tasso in crescita. In inglese, quando si dice «blow your socks off» ci si riferisce a qualcosa capace di stupire: che il nostro bassotto non abbia trovato finalmente la sua occasione?

Sound design

Oggi raccontiamo una storia dove l’ottava è una piega e una nota. Siamo nel Rinascimento e a Magonza Gutenberg aveva già stampato la sua Bibbia. In Italia, precisamente a Venezia, c’era un tipografo affascinato dal design del messaggio; Aldo Manuzio creerà un modo di leggere che ancora non c’era, attirando a bottega i migliori artisti, incisori e anche filosofi, come Erasmo da Rotterdam. Dalle stamperie tedesche, infatti, uscivano libri sì moderni, ma per un tempo quasi andato: peso e dimensioni rendevano i volumi intrasportabili e poi quei filari di lettere così spessi facevano del carattere gotico non il migliore alleato dell’occhio. La stella polare di Manuzio era invece il formato: ispirerà il Garamond, un carattere così abile a nascondersi dietro le parole che, ancora oggi, è presente in molto di quello che vediamo stampato. Poi, sarà la volta del corsivo che si chiama Italics per merito suo e permette (tra gli altri vantaggi) di far entrare più lettere sulla carta. Tutto per arrivare all’ottavo, il foglio di carta piegato in 8 parti: il libro stava finalmente nel palmo della mano. Leggere in ogni dove significava aprire nuovi mondi: in fondo, si trattò di una rivoluzione paragonabile a quella che abbiamo vissuto quando il telefono, da fisso, è diventato mobile. Ad ogni modo, mezzo millennio dopo, la stampa sembra mossa ancora da questa parsimonia ispirata. Succede a un violino, ad esempio, progettato in 3D dalla facoltà di Architettura del Politecnico di Bari: si stampa in un giorno al costo di circa 100 euro (contro i 6 mesi di un liutaio e cifre ben oltre il migliaio). Nessuna competizione con il prodotto artigianale, semmai un invito a entrare nel mondo della musica in maniera semplice ed economica. Così come i libri di Manuzio, in qualche modo “tascabili”, resero più grande il mondo dei lettori. Cambierà l’approccio al suono? Chissà. La storia, però, ci dà qualche indicazione sull’importanza di essere sempre intonati ai tempi.