Spicchio dopo spicchio

Le caratteristiche del nostro Calendario si rintracciano già nei primi lavori degli anni Ottanta: la fotografia (still-life), i mock-up scultura composti con oggetti della quotidianità, lo sfondo bianco e la relazione efficace, a doppia via, con la parola. Ieri come oggi, la logica del progetto è basata sulla sottrazione degli elementi fino all’essenzialità. All’origine, molte scelte furono dettate anche da ragioni tecniche ed economiche: le immagini erano destinate a manifesti pensati per l’affissione stradale, i fondi pieni richiedevano un’accuratezza che le tipografie dell’epoca non avevano e i bordi della figura non dovevano “smarginare” per non doverli rifilare. Ma dal 1991, quando è uscito il primo, abbiamo consolidato un linguaggio riconoscibile e fedele a un principio di qualità. Il fascino dei nostri calendari risiede ancora nell’artigianalità con cui vengono realizzati. E nella struttura compositiva, il mock-up, che riproduce qualcosa di concreto e non una combinazione di elementi già fotografati e rielaborati al computer. A contare non è solo l’impatto delle forme, ma anche la fotogenia della composizione e la sua tridimensionalità: la magia di una bella immagine che fa venire la tentazione di toccare il foglio. Il Calendario è una metafora, anzi tante metafore. La prima è descritta dalle stesse immagini; la seconda, meno evidente, fa riferimento al lavoro delle persone che, con passione e pazienza, si sottopongono ogni anno allo stress e alla sfida; la terza rappresenta la visione e la missione sottese al nostro lavoro. Il nostro fine è dare rappresentazione all’idea di futuro che un’impresa, un’organizzazione, un’istituzione, un prodotto o un servizio intendono porre in essere. Calendarea 2025. Un tuffo nel pensiero​ Aquarium è il tema del Calendario 2025: un tuffo profondo nel pensiero e nell’esplorazione di ciò che potrebbe rappresentare al meglio un buon auspicio per l’imminente futuro. Un acquario fantasioso e visionario per sentirsi comodi come un pesce nell’acqua, per tutto l’anno! È un racconto attraverso icone gioiose, allegre e ironiche, piene di vita e tranquillità, come si possono trovare nei mari, nei fiumi e nei laghi. Ma al contempo nasconde una sottile metafora nel nome: in un mondo che ci scruta continuamente, se fossimo noi i pesci nell’acquario? Come ogni anno, il linguaggio caratteristico del Calendario svela il segreto di Inarea alla base di tutto: saper leggere ciò che già c’è attraverso il design plurale*; partire dalla realtà che abbiamo sotto gli occhi e ricombinare gli elementi, dando vita a insolite associazioni per alimentare nuove percezioni.

Festa mobile

Tre anni prima della pubblicazione (postuma) del libro di memorie di Hemingway, a Milano prendeva vita il primo Salone Internazionale del Mobile: era il 1961 e nell’Italia di allora nessuno poteva immaginare quali effetti avrebbe prodotto. La storia in realtà comincia nell’immediato dopoguerra, quando degli architetti visionari (e con poche commesse) convinsero degli artigiani brianzoli (divenuti poi industriali) a produrre su loro disegno dei mobili in serie per arredare le case della ricostruzione. Il funzionalismo che animava quei progetti divenne ben presto la cifra stilistica di ciò che ha preso poi il nome di “italian design”. Una formula che evidentemente deve aver funzionato, tanto che, nel 1972, il MoMA di New York consacrò con la celebre mostra “Italy: The New Domestic Landscape” il successo internazionale del nostro modo di dare forma allo spazio della casa, e non solo. Tutto è cambiato da allora, ma ancora oggi per gli italiani la professione del designer è quella di progettare mobili… sarà senz’altro una questione di cronologia oppure è solo una sineddoche, la parte per il tutto, ma tant’è! Perché il design è diventato il sostantivo più aggettivato in circolazione (naturalmente in inglese): industrial, fashion, car, graphic, product, service, food, sound ecc. ecc. E il design italiano è ora il primo in Europa per valore aggiunto e per posti di lavoro. Un traguardo importante, che fa da cornice all’inaugurazione oggi del Salone n. 62. Un evento che impegna ben 210.000 mq della Fiera di Rho e, al tempo stesso, trasforma tutta Milano in un mega spazio evento con la “Design Week”, cominciata già ieri. Questa è la Festa Mobile di un intero Paese, che può celebrare idealmente il suo riscatto rispetto alle condizioni in cui versava quando questa storia è cominciata: dalla ‘pasta e lenticchie’ al primato europeo! E, a proposito dei tempi che cambiano, non è più vero che “la donna è mobile”, ma il Mobile è Donna: dal 2020, Presidente del Salone del Mobile è Maria Porro: ha respirato il legno sin dalla nascita, nella quasi centenaria azienda di famiglia, e poi ha firmato scenografie per il teatro e grandi eventi. Oggi, dopo la lunga parentesi della pandemia, va in scena la sua prima-vera Festa Mobile. Complimenti e in bocca al lupo!

Chiedi alla polvere

A volte basta fare un po’ mente locale sul valore delle parole. Per la lingua inglese l’aspirapolvere è un vacuum cleaner, una questione aperta col vuoto. E, a proposito di vuoto, è un po’ lo stato d’animo di chiunque stia provando a chiedersi cosa ne sarà dell’intelligenza artificiale. Chissà se riusciremo a trasformare questo soufflé in un qualcosa di commestibile, o si sgonfierà nel forno… Un timone per orientarci, viene da una mente italiana di base a Oxford; si tratta di Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell’informazione. Floridi distingue la sintassi dalla semantica, la capacità di far significare. Semplificando, ogni nuova idea è una macedonia tra giusti ingredienti, un po’ di non-calcolato, spesso caso: processo che accomuna la mela di Newton al panettone e rimarrà, probabilmente ancora per molto, un dominio tutto umano. L’AI è già più addomesticata se la pensiamo come un vacuum cleaner di dati, che risucchia tempo prezioso al bisogno. In questo senso, la primavera è già inoltrata e la Pasqua è appena passata. A che punto siete con le pulizie? Alzi la mano chi non sta già chiedendo a un robot.

Pasqua con chi vuoi: uova o coniglio?

Le credenze sono quelle che vengono aperte in questi giorni, allungando il fiuto in cerca di cioccolato. Ma le credenze sono anche quelle che spuntano come ciuffi d’erba su simboli o storie, e il coniglio ne ha così tante sulle spalle da poterci fare i traslochi: a seconda del contesto, la nostra cultura lo vuole o pavido, o prolifico a più non posso. Questa settimana – buon per lui – sarà solo la candida mascotte della Pasqua. In realtà, inizialmente questo era un affare della sua cugina di primo grado, la lepre, animale sacro alla dea germanica Eostre; da lì ad “Easter” il passo è stato breve… Dunque, anche il marketing degli ultimi cento anni, poggia su una credenza sbagliata. Ma, che si tratti di un mobile da cucina o di un’opinione diffusa, non è poi così importante. A contare è la festa. E quella di primavera è simbolo di rinascita: l’uovo infatti significa nuova vita ma, se ci si aspetta una stagione davvero prolifica, il coraggio non serve e il coniglio resta imbattibile! Tanti auguri, buona Pasqua!

Con i pugni nella città

Parigi, Roma, New York o Londra: ciò che le accomuna è che, a ogni latitudine, possono metterci ko. Allora, per risollevare gli animi, occorre chiamare le persone all’adunata e non c’è miglior modo che affidare questo compito alle emozioni. Ne era conscio Milton Glaser, il grande designer che nel 1977 creò quel logo dove mise un cuore tra l’“Io” e NY, New York. Con una piccola centrifuga di parole, se invece di “love” ci chiedessimo prima “what I owe to the city” il risultato non cambierebbe; siamo sicuri che nei primi tre pensieri ci sarebbe la parola amore. Alla città dobbiamo l’amore per le persone o per il lavoro che ci ha fatto trovare, magari grazie a incontri impossibili altrove. Persino chi viene da un piccolo centro, della città ama quel lusso dell’anonimato che solo essa sa dare… È successo che quel logo della Grande Mela è andato in pensione; ora c’è un nuovo font (ispirato al lettering della metro) e il “we love”. Nella cabina di regia è implicito l’invito alla comunità a prendersi cura della città; basta un’ora a settimana, dicono. Il “what we do for the city”, premiando la relazione, potrebbe diventare il nuovo mantra. Ricordiamocelo ogni volta in cui facciamo a pugni con la nostra città: la lista dei destri che ci rifila tutti i giorni sarebbe lunga. Per sportività, ci fermiamo qua.  

Co(s)mic death

Il colmo per chi scrive tragedie è quello di morire in modo quasi comico. Stasera scatterà la primavera, eppure è passata già qualche settimana da quando abbiamo cominciato a orientare le antenne verso il sole. Lo faceva anche Eschilo in una giornata del 456 a.C., mentre si godeva il tepore salino fuori dalla sua casa di Gela. Senonché un’aquila, scambiando la sua testa calva per una roccia, gli scagliò una tartaruga in testa, sperando di romperne la corazza per mangiarla… La primavera ha sempre a che fare con qualcosa nell’aria: l’amore, diceva una vecchia canzone o i pollini che ricamano il cielo. Tutto piomba all’improvviso, nel mezzo di marzo. Noi ci auguriamo invece che la stagione si “affretti lentamente” ritardando un po’ quella dopo, come fa la tartaruga sullo stemma dei Medici. Per questo l’abbiamo immaginata un po’ acerba, dura a schiudersi. Tra tre mesi saremo testuggini rintanate in carapaci ad aria condizionata. Ma lo stare al riparo dal solleone può avere i suoi vantaggi. Memento Eschilo…

Pensiero incompleto

«Fratelli e sorelle, buonasera!». È un saluto che vibra di familiarità e che detto da un signore affacciato dal balcone di Piazza San Pietro, 10 anni fa, diventa una linea di indirizzo. È quella di Francesco, eletto Papa il 13 marzo 2013. Come designer, abbiamo a cuore il momento del progetto, che arriva sempre quando si entra nella dimensione mentale che ci espropria: si gettano i semi, sperando trabocchino in qualche falda ignota… Data questa premessa, troviamo abbastanza affascinante una certa angolatura di Jorge Bergoglio. Parla spesso di «pensiero incompleto», un antitodo per arrivare alle cose, facendo un po’ a meno di sé stessi. È un concetto fronte-retro. Il pensiero incompleto fa cedere sempre il passo a qualcosa: relazione, Dio, amore, creatività e, nel nostro piccolissimo, immaginazione. Di questi “tempi moderni” una filosofia versatile nel presente è tra quelle per cui vale la pena di togliersi il cappello.

Le sorprese della luna del verme

Da questa sera comincerà a farsi avanti una luna che sarà piena domani, il 7 marzo. È nota come “luna del verme”, un nome che affonda in echi di semine, lombrichi e piogge di primavera. Oltre a non brillar mai di luce propria, il satellite della terra questo mese è anche invertebrato, praticamente senza colonna. A pensarci bene, qual è la zona di comfort dei nostri amici striscianti? Una mela, ad esempio. Chiudendo gli occhi è possibile: la prima che verrà in mente sarà quella di un brand, circonfusa di led; ma se è stata appena morsa dall’uomo, vuol dire abbiamo sfrattato la natura… Potremmo fare come Caravaggio che, per farci riflettere sul perché una mela è “abitata” da un piccolo essere, dipinse la canestra di frutta più su dell’occhio, forzandoci a tendere il collo. “The worm moon” potrebbe essere invece un invito a piegarci un po’, magari solo per un momento ad ascoltare i ritmi della terra. Dunque, cosa chiedere alla luna di queste due sere? Proprio perché bacata, di fare miracoli.

C’era una volta il 30 febbraio

L’Amleto di Shakespeare diceva che «il tempo è fuori dai cardini» e che lui era nato per rimetterlo a posto. C’è stato chi l’ha preso alla lettera. Nel 1712 Carlo XII di Svezia si vide costretto a dotare il suo febbraio di un giorno in più oltre il 29, a causa di complicati incastri tra calendari. Molto tempo prima, era stato Augusto a rubare un giorno a febbraio, per portare a 31 quelli del “suo” mese, agosto, appunto. Quel 30 febbraio è rimasto perciò un unicum, un po’ rannicchiato nelle pieghe della storia: non sappiamo se qualche soldato svedese si distinse in battaglia (era in corso una guerra con la Russia di Pietro il Grande) o se c’è stato qualcosa degno di nota. Quelle 24 ore cercano ancora il loro quid; non ci resta che provare a cercarlo. Come ogni lunedì, l’agenda si sta riempendo di cose da fare, ma sappiamo che alcune non riusciremo proprio a defenestrarle: commissioni, giri a vuoto, fuochi fatui. Si potrebbe rimandare tutto al 30 febbraio, la giornata mondiale dei disegni procrastinati. Tanto, al rintocco di marzo, nessuno potrà venirci a chiedere il conto.

A Carnevale il comico non vale

Una cosa bella del Carnevale è che fa di tutti i contrari dei coinquilini placidi: il popolare e l’agiato, giovane e agé, mesti e no. Ma non esiste un costume che identifichi il comico dall’umorista. Per questo, proviamo a fare un po’ di chiarezza. Luigi Pirandello scriveva che al vedere in strada una donna “parata come un pappagallo” è probabile che arriverà una risata. In lei, infatti, c’è qualcosa che avvertiamo come contrario al canone. Può essere, però, che la stessa signora non provi alcun piacere ad abbigliarsi in quel modo; dietro quei paramenti potrebbe esserci un marito da trattenere, o anni che si è restii a contare… Lo scrittore conclude che la riflessione ci fa avvertire il sentimento del contrario e il comico sfiorirà a vantaggio dell’humor. Ci guadagna la signora, per cui ogni giorno sarà Carnevale: variopinta ma nel lusso dell’anonimato. Ma ci guadagna anche chi è dall’altra parte: un po’ di r-humor-e nell’ordinario restituisce quella sensazione di sentirsi sempre freschi come un fiore.