Carlo Emilio Cracco

Trionfo di bufala del caseificio “Fienolento” di San Gregorio, su letto di misticanza e pomodorino IGP dell’azienda “Concime Ingrato”. Scherziamo un po’, ma deve esser capitato a molti di imbattersi in questo tipo di menù barocco. Quando arriva il piatto rimane però un certo minimalismo in bocca: in fondo si tratta di mozzarella su un po’ di insalata. Uno stile da cui sembrano prendere le distanze i cuochi stellati, premiati o confermati proprio in questi giorni dalla Guida Michelin 2023 con una, due o tre stelle. Sbocconcellano i piatti come fosse una formazione calcistica: “sogliola, lattuga e bergamotto”, “fieno e camomilla”. Ogni tanto fanno capolino un “assoluto di cipolle” o la “gallinella di mare ‘indecisa’”, ma in generale lo stile è secco; dobbiamo fidarci dei nostri condottieri. Effettivamente, negli ultimi anni ci sono stati presentati un po’ come i generali dell’abbattitore, al grido di comando di “EVO e prima qualità”. Ma non è solo colpa della televisione, il tutto arriva da più lontano. “Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!” questo era Carlo Emilio Gadda, nato come oggi nel 1893 e che non ammetteva deroghe all’“ufficio risottiero”. I cuochi lo sanno che c’è della comunicazione a monte di tutto questo rigore: fa allure e stile. Ma in fondo in fondo, sono altrettanto consapevoli che nel regime ordinato non c’è creazione (il panettone nasce da un errore). Per cui, ecco la nostra insalatina assemblarsi solo come fantasia comanda. Sicuri che a Gadda sarebbe parso un “pasticciaccio”: di Via Merulana no, sicuro di Casa Inarea.

Flirt & filtri

In questo autunno, i social network ci stanno offrendo un giro del mondo piuttosto interessante. C’è ad esempio il Metaverso che ha appena compiuto un anno, ma sembra popolato come l’Antartide. Quanto a traffico, con TikTok planiamo su una strada di Pechino all’ora di punta. Instagram ci regala l’esperienza di un suk a Marrakech: c’è del baccano e si vende. Facebook è una cittadina del Midwest alle prese con lo spopolamento. Cosa rimane? Twitter che forse con Elon Musk dovrà conquistare altri pianeti (si legge nuovi segmenti di utenti). Qualcuno forse si è accorto che in questo tour manca l’Europa, un po’ assonnata negli anni dell’affermazione delle piattaforme social. BeReal è stata creata nel 2020 da un team francese, ma si sta facendo notare adesso. Permette di condividere solo foto del momento esatto che si sta vivendo: arriva una notifica e parte un countdown di due minuti. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per pubblicare. Un po’ una corsa contro il tempo, come fu il viaggio di Phileas Fogg e del suo assistente Passepartout: non sappiamo infatti se BeReal resisterà alla sete di novità, o ai cloni. Però quest’app porta a galla una cosa: i contenuti hanno bisogno di un tagliando, cominciamo a fidarci poco. Forse il nostro occhio, diventato un po’ troppo pigro, dovrebbe allentare questo flirt con le immagini e iniziare a guardarle dalla giusta distanza. Dall’alto, appunto! Partiamo…

“Marry” Halloween!

Ci sono dei contenuti che devono vagare un po’ prima di trovare la loro “forma” gemella; ed è il caso di questa storia. Sappiamo che la festa di “All Hallows Eve” affonda le radici nel paganesimo Celtico: in questa notte le anime dei defunti avevano un permesso speciale per la ZTL del mondo dei vivi. Più tardi, arriva la leggenda di Stingy Jack, l’uomo che non si limitò a un patto con il diavolo, lo mise proprio nel sacco. Facendosi beffe del bene e del male, venne diligentemente messo alla porta, sia dell’Inferno che del Paradiso. Così, in Irlanda, si cominciarono a scolpire piccole facce diaboliche sulle rape, per tentare di tenere un po’ a bada quest’anima inquieta. Ma se da un ravanello non è mai nato un mito, forse ci sarà un motivo… Molti secoli dopo, quando gli Irlandesi emigrarono negli Stati Uniti d’America, vi trovarono anche la zucca locale, che era molto più spumeggiante e paffuta di quella europea. Il fantasma di Jack aveva trovato la sua anima gemella e sarà un matrimonio mistico, perché la Jack-o’-lantern diventerà il simbolo indiscusso di Halloween. A volte, le forme migliori nascono da una buona dose di sale in zucca, ma questa storia ci dà ragguagli importanti per non sottovalutare mai gli incontri di fortuna. E il marketing ringrazia, con tanto di cappello.

Colpo di coda

Il bassotto racconta un po’ la storia di un vorrei ma non posso. I manuali ci dicono che di temperamento sia affabile, optional però riservato ai conoscenti stretti (pare); vorrebbe essere un cane da difesa, ma la stazza non lo aiuta. La sconfitta nel gotha animale arriva dopo la Prima Guerra Mondiale: c’è da premettere che nonostante fosse il simbolo della Germania, in Inghilterra aveva popolarità da vendere, era il pet preferito della Regina Vittoria. Tuttavia, dopo la caduta del Primo Reich, si diffuse una vignetta che lo raffigurava tra le fauci di un grosso bulldog inglese: la scritta «Got him!» lasciava pochi dubbi su vincitori e vinti e l’indice di gradimento scese a picco. Arriva poi un tentativo di lasciare un’impronta nel mondo del cibo: l’hot-dog venne commercializzato inizialmente con il nome di “dachshund sausage” (letteralmente “salsiccia di bassotto”) per una somiglianza quasi ovvia; naming che abdica presto. La Germania non si arrende e, nel 1972, è scelto come mascotte delle Olimpiadi di Monaco, quelle però passate tristemente alle cronache. Prima di srotolare questo esemplare e riporlo nel cassetto, ci viene in soccorso la prima storia, la più autentica: questa razza si è sempre distinta per esser abile nella caccia. La sua specialità sono i tassi, che rincorre e stana a meraviglia. Specie che oggi, in Europa, è tutto fuorché estinta. Energia, mutui, inflazione: è tutto un tasso in crescita. In inglese, quando si dice «blow your socks off» ci si riferisce a qualcosa capace di stupire: che il nostro bassotto non abbia trovato finalmente la sua occasione?

Sound design

Oggi raccontiamo una storia dove l’ottava è una piega e una nota. Siamo nel Rinascimento e a Magonza Gutenberg aveva già stampato la sua Bibbia. In Italia, precisamente a Venezia, c’era un tipografo affascinato dal design del messaggio; Aldo Manuzio creerà un modo di leggere che ancora non c’era, attirando a bottega i migliori artisti, incisori e anche filosofi, come Erasmo da Rotterdam. Dalle stamperie tedesche, infatti, uscivano libri sì moderni, ma per un tempo quasi andato: peso e dimensioni rendevano i volumi intrasportabili e poi quei filari di lettere così spessi facevano del carattere gotico non il migliore alleato dell’occhio. La stella polare di Manuzio era invece il formato: ispirerà il Garamond, un carattere così abile a nascondersi dietro le parole che, ancora oggi, è presente in molto di quello che vediamo stampato. Poi, sarà la volta del corsivo che si chiama Italics per merito suo e permette (tra gli altri vantaggi) di far entrare più lettere sulla carta. Tutto per arrivare all’ottavo, il foglio di carta piegato in 8 parti: il libro stava finalmente nel palmo della mano. Leggere in ogni dove significava aprire nuovi mondi: in fondo, si trattò di una rivoluzione paragonabile a quella che abbiamo vissuto quando il telefono, da fisso, è diventato mobile. Ad ogni modo, mezzo millennio dopo, la stampa sembra mossa ancora da questa parsimonia ispirata. Succede a un violino, ad esempio, progettato in 3D dalla facoltà di Architettura del Politecnico di Bari: si stampa in un giorno al costo di circa 100 euro (contro i 6 mesi di un liutaio e cifre ben oltre il migliaio). Nessuna competizione con il prodotto artigianale, semmai un invito a entrare nel mondo della musica in maniera semplice ed economica. Così come i libri di Manuzio, in qualche modo “tascabili”, resero più grande il mondo dei lettori. Cambierà l’approccio al suono? Chissà. La storia, però, ci dà qualche indicazione sull’importanza di essere sempre intonati ai tempi.

Cadono frutti in testa?

Il 2022 corre sui cavi dell’alta tensione. Ma qualcuno, prima di noi, non aveva avuto dubbi sul fatto che sarebbe stato un anno un po’ distopico: è il caso di Fahrenheit 451, il romanzo scritto nel 1953 e ambientato in un punto non ben specificato dopo il 2022. Lì, la città era luminosa ma triste, perché l’ordine era di bruciare tutti i libri. Oggi, la Tour Eiffel e la Mole Antonelliana condividono il risparmio sulle luminarie. Effettivamente, la fantascienza non era arrivata a tanto… A pensarci bene, tutto quello che ha fatto la cultura della nostra modernità è basato sul brulichio luccicante di una città che sale; ininterrotto più o meno dal 1900 ad oggi. Ora, sembra che si deve un po’ rallentare e il design si sta organizzando per bene. Succede alla Nike, ad esempio, che vede il futuro dell’abbigliamento sportivo al minimo di zip e cuciture: semplificando le linee, il ciclo produttivo e il consumo di energia ringraziano. Forse, questo presente a voltaggio un po’ più basso non è poi così male: cadono mele (pardon, pere) in testa, si accendono nuove lampadine…

Tre civette sul comò

“Civettuola” è un’espressione dove un non-so-che di lezioso svolazza e spesso atterra nel mondo della moda. Vero solo a metà. A Parigi, settembre si è chiuso con la fashion week. Entriamo in una sfilata e il set è una grotta all’italiana, quasi una maquette del giardino di Boboli: in passerella abiti molto neri, di molti pizzi. È la sfilata di Dior e Maria Grazia Chiuri prende ispirazione da Caterina de’ Medici, la fiorentina che nel Rinascimento fece scalpore e cronaca: portò in Francia forchette, zeppe e merletti di Burano, oltre a un certo savoir faire nero. Indossava abiti più scuri del fumo e, per svettare in tutti i sensi, amava i tacchi. Si dice che fu la mandante della Strage degli Ugonotti, così come dell’avvelenamento della suocera, tradita – sembra – da un guanto profumato al veleno… anch’esso di finissima esportazione fiorentina. Negli stessi anni, in Toscana, la moglie di Cosimo de’ Medici, Eleonora di Toledo, fondava una manifattura tessile, scegliendo il Bronzino come pubblicitario: la raffigurò con un abito che era il non plus ultra del broccato. Quel vestito forse non è mai esistito, ma un campione di stoffa (solo questo aveva il pittore), bastò per far parlare l’Europa dello “stile Eleonora”. Tra arsenico e vecchi e nuovi merletti, queste donne ci appaiono come civette, però senza quei fronzoli dei diminutivi perché il metro è completamente diverso: l’uccello notturno è da sempre simbolo di coloro che sanno guardare oltre. E, senza ombra di dubbio, possiamo dire che dal Cinquecento sia iniziato quel lungo-metraggio del fashion style italiano.

Fish-ness

Questa settimana è stato trovato il cuore più antico del mondo. E se “antico” chiama spesso anche il “sacro”, ci spiace constatare che il primato non è dell’uomo. Siamo al largo dell’Australia e il protagonista è un pesce – chiamato Gogo – estintosi 380 milioni di anni fa: di lui non rimane che un fossile, però il cuore è rimasto intatto. Tutto torna. Per i nostri antenati, infatti, la sacralità era in fondo al mare. Lì trovavano del meraviglioso, a tal punto che quel “sottosopra” non perdeva mai occasione di affiorare, magari travestito da arte: poeti, artisti e scultori ne avevano piene le tasche di meduse, sirene o tritoni. Per non parlare del fascino elettrico esercitato dalle murene: i romani le allevavano nelle “piscine”, una sorta di touch-point con un mondo altro. E “pesce” sarà infine l’acronimo di Gesù… Insomma, la sacralità non è solo della terraferma. Ma per nuotare in questi tempi che sembrano rivoltarci come un calzino, potremmo almeno guardarli un po’ più da vicino: i pesci, infatti, non chiudono mai gli occhi. Noi umani, invece, vogliamo che la fortuna sia cieca, la giustizia bendata e la felicità la godiamo a occhi chiusi! Forse aveva ragione la mamma quando ci raccomandava di tenere ben aperti gli occhi? L’allerta ci farà rimanere a galla.

Dillo con un fiore

Se la lingua batte dove il dente duole, l’italiano segna un punto nel mondo parlante che gli chiede di cambiare. E lo fa da lingua antica che, in quanto tale, ha bisogno solo di guardarsi un po’ più dentro per trovare le parole. Nel nuovo Dizionario della lingua italiana di Treccani “persona” ed “essere umano” sostituiranno quella “sineddoche” di uomo: cioè il fatto che questa parola sia sempre stata un po’ la parte per il tutto. Valeria Della Valle e Giuseppe Patota sono i due linguisti che hanno lavorato al progetto, in commercio da ottobre. La seconda novità sostanziale è che, per la prima volta, aggettivi e nomi saranno scritti in ordine alfabetico; si avranno così “amica, amico”, ma anche “direttore, direttrice”, “medica, medico”. Come tutte le parole, anche queste hanno una parte fissa e una che cambia con l’uso; è il primo principio della linguistica e non esiste l’una senza l’altra. Il nuovo dizionario semplicemente accoglie le istanze di entrambe. Per capirlo meglio, ci affidiamo come nostro consueto a un’immagine. Se provassimo a srotolare questo nodo, cosa rimane? Non sarà più una calla ma certo non è ancora una cravatta (che è tale solo se la usiamo in un certo modo). E noi abbiamo cercato di dirlo appunto con un fiore. La lingua veste il pensiero e, nel continuo cambiamento, modifica il paesaggio delle relazioni umane con fioriture sempre nuove e sorprendenti.

Di Colossi e cugini prossimi

Mercoledì scorso, il sindaco Roberto Gualtieri è volato a Parigi per presentare la candidatura di Roma all’Expo 2030. Poiché amiamo le sfide, abbiamo provato a dire la nostra sul tema, scaldando un po’ i media con la proposta, firmata da Luca Josi e Antonio Romano, di un colosso prossimo al Colosseo. L’Anfiteatro Flavio è il monumento più iconico d’Italia, eppure sembra aver smarrito il senso del suo etimo: deve il nome alla statua di Nerone, talmente magistrale nelle dimensioni da rimaner impressa nella memoria oltre la sua dipartita. Se pensiamo a simboli celeberrimi, pensati per eventi come questo, il paragone più naturale è con l’icona francese, nata dalla mente di Gustave Eiffel, proprio per l’Esposizione Universale del 1889. Con il nostro Anfiteatro, hanno in comune una stessa tempra simbolica, eppure la fama di opera di ingegneria moderna se l’è conquistata con fatica. Eugène Atget, tra i migliori fotografi del tempo, la schivava. Al 1893 data una caricatura che proponeva di usarla come “piedistallo” per la statua di Victor Hugo; ah, les miserables, avrebbe forse detto. Quella porta di accesso a tutte le merci del mondo – cioè l’Expo – era forse vista, da occhi ancora acerbi, come un groviglio di ferro. E in quanto tale fece il suo lavoro, diventando calamita cosmica di attenzione. E noi, mentre tocchiamo appunto ferro per la nostra Capitale (il responso arriverà a novembre), ci stiamo convincendo che, se c’è un’idea adatta al contesto, può diventare a volte un successo colossale.