Ci vuole un fisico bestiale

Il fenicottero è un animale che sta parecchio a suo agio dove c’è il sale di mare o il cloro delle piscine, quando diventano i gonfiabili delle nostre ore che passano adagio. Insomma, da loro arrivano solo flash di pace: stanno in equilibrio su una gamba e mangiar gamberetti li fa belli (è proprio la dieta a base di crostacei a fargli assumere quella particolare colorazione). A proposito di habitat, dalla Toscana alla Sicilia, dalla Sardegna all’Emilia Romagna, in Italia non è difficile imbattersi nelle saline che, grazie a loro, diventano vere e proprie oasi dipinte di rosa. Se di relax si parla, però, dobbiamo tenere a mente che per questi volatili è una condizione non così scontata. In Alice nel paese delle meraviglie, ad esempio, vengono stirati come stoccafissi: la regina aveva ordinato un’improbabile partita a croquet e servivano delle mazze da gioco… Lewis Carroll ci ricorda  così che quando il gioco si fa duro, i fenicotteri iniziano a giocare. Tra momenti di distensione, e altri di rigidità, in fondo le giornate somigliano un po’ alle partite di croquet e il fenicottero, dal canto suo, dimostra di avere un fisico bestiale: è o non è il “socksymbol” dell’estate?

Alla soglia dell’estate

Il primo fotogramma di cinema mai proiettato aveva per oggetto un treno che arrivava letteralmente addosso a chi guardava; ne nacque la leggenda che gli spettatori erano corsi fuori dalla sala. Ma a pensarci bene, se il cinema prometteva evasione, la scelta di un mezzo che andava oltre la soglia era decisamente appropriata. Tanto che, dagli schermi, l’immagine è stata ripresa più volte per suggerire un moto a luogo fuori dagli schemi. L’ultima fermata dell’Orient Express era ad esempio a Costantinopoli, porta sul Medio Oriente; molti anni più tardi, sarà una locomotiva (e non un treno standard) a portare alla scuola di magia. C’è addirittura una canzone che spera di staccarne la maniglia, così da procedere spedita verso ognuno sa cosa… E dunque, qual è la soglia a cui si affaccia questa estate? Realisticamente parlando, l’entusiasmo corre su un treno regionale: preparate il fazzoletto, occhio al portamonete e speranza stirata. Magari qualche nodo verrà al pettine… Ma se nella settimana scorsa un treno ha incapsulato magicamente tre leader di altrettanti Paesi, non possiamo che riporre ancora più fiducia nella locomotiva: sfonderà la soglia in qualche modo. E allora sì che possiamo tornare a sperare nella pace dell’estate, che ci arriverà addosso.

A me gli occhi

A Pompei c’è una mostra che vuole provare come l’“amatoria”, nell’idea di “ars”, possa esser vissuta con naturalezza e come tale va mostrata (ad adulti e bambini); l’“hard”, semmai, è un fatto di costumi che cambiano. E servono lenti adatte per guardare… Così, “Arte e sensualità nelle case di Pompei” libera scene che suscitarono l’imbarazzo degli archeologici sin dalla scoperta degli scavi; vennero stipate nei depositi e lì rimasero, più o meno fino ad oggi. La mostra, aperta fino a gennaio 2023, racconta come i nostri avi tutto avevano, tranne l’impaccio: gli incontri amorosi di dèi e centauri non erano solo una narrazione per le alcove, ma circumnavigavano il daily life pompeiano tra triclini, antri e spazi più o meno privati. Sempre a proposito di lenti particolari, il 10 giugno 1819 nasceva il pittore francese Gustave Courbet, ultimo premiato con l’alloro di una censura che esonda il tempo. Nel 2011, il dipinto L’Origine du monde (1866) fu censurato da Facebook e la querelle finì in tribunale. Se nel mondo multimediale gli occhi sono sorvegliati a vista, ecco quindi che il dubbio sorge naturale: incollare o non incollare un’emoticon sul dipinto di un corpo nudo? Questo è il dilemma (o la “Meta”). Nel frattempo, un piccolo arnese anti-miopia ci sembra essenziale. MADEINAREA Nel 2015, abbiamo accompagnato la Soprintendenza del Parco Archeologico di Pompei in una complessa attività di rilettura e di riproposizione dell’offerta culturale. Grazie a questo intervento, abbiamo ridefinito il nome, che accomuna ora tutti i siti dell’area archeologica, recuperando quello latino “Pompeii” (uguale anche in inglese), per distinguerlo dalla odierna Pompei, e abbiamo disegnato un “nuovo” marchio, ispirato ai bellissimi affreschi della “Villa dei Misteri”. Su questi elementi identitari, è stato sviluppato un vero e proprio sistema, che va dalla segnaletica alle nuove mappe, dagli elementi di comunicazione offline al sito internet. Per rendere infine il senso di questo spazio unico al mondo, dove la vita si è sì fermata in un terribile momento ma è palpabile a ogni passo, abbiamo associato al nome il claim “Tempus, vita”. L’eternità non è stata mai così vicina.

Pronti per una settimana elettrizzante?

Anche il modo di mettersi comodi fa design, se non altro del comportamento. Pensiamo, ad esempio, alla relazione che instauriamo con la poltrona Pratone: un tuffo tra i ciuffi d’erba, con il poliuretano espanso che promette un abbraccio. Eh sì, perché tra le innovazioni che battezzarono il Salone del Mobile, sessanta candeline in questo 2022, c’è stata proprio la gommapiuma. Negli anni Cinquanta planò sull’arredamento dal mondo dei motori e così le tappezzerie di casa si allinearono finalmente all’idea di relax, sicuramente più antica. Preistorica, dunque, sembrerà allora questa dormeuse stile Re Sole, con le sue onde che camuffano, ma non cancellano, l’idea di un riposo sull’attenti. Dal 7 al 12 giugno, Salone e Fuorisalone tornano in tutto il loro splendore. Sarà una settimana elettrizzante e, dopo il lungo silenzio dettato dalla pandemia, un ritorno al frastuono che cortocircuita a Milano tutto il mondo del design.

Il ridisegno di un Paese

Se il 2 giugno 1946 ha tracciato la forma di governo dell’Italia, un po’ lo dobbiamo anche al “Re di Maggio”. A marzo di quell’anno infatti, Umberto II firmò il decreto che deciderà anche le sue sorti: sarà re il tempo di pochi giorni. In questa sede però, ci piace scavare nella mina dell’italianità, magari raccontando la storia di un giovane principe che tanti anni prima aveva disegnato l’abito da sposa di una moglie venuta dal Belgio, Maria José; stoffa da designer, forse, ma gli annali lo ricordano per non aver avuto quella da re. Questa sensazione di essere fuori dal sentiero tracciato, doveva forse accomunare molti in quell’anno: gli uomini perché avevano il polso intorpidito da anni di non voto, le donne perché erano state chiamate per la prima volta a farlo. Per cui, tentiamo di entrare nelle cabine di quel 2 giugno, visualizzando tutti quei lapis tremolanti. Anni e anni dopo, l’avremo spuntata? Pardon, forse per tempi e contesto sarebbe meglio dire “flaggata”. Ad ogni modo, la scelta della Repubblica fu un verdetto che si portò dietro polemiche e sospetti, ma l’Italia non riusciremmo più a immaginarla diversamente. Sicuramente un’identità in continuo divenire e complessa… si può però disegnare con semplicità.

Trent’anni

Comincio con un ricordo, che rivivo come la scena di un film. Giovanni e Francesca Falcone sono seduti con altri amici intorno al tavolo da pranzo di casa nostra. Si fanno discorsi più o meno seri con l’intermezzo degli immancabili giochi di parole… Risalgo alla data: era giovedì 14 maggio 1992 ed era l’ultima volta in cui ci saremmo visti, ma nessuno poteva immaginarlo e la serata passò in allegria, come altre prima, sostenuta dallo scoppiettare delle sue battute ironiche. La stessa ironia con cui mi aveva ripetuto più volte che a Roma poteva muoversi con relativa libertà, ma in Sicilia era soltanto “un morto che cammina”. E la profezia si avverò nel modo che tutti ricordiamo, quel sabato 23 maggio 1992. Per giorni e settimane, la strage riempì pagine di giornali e palinsesti di radio e televisioni, praticamente in tutto il mondo. Ma in Italia la risposta della cosiddetta gente fu diversa. C’era un silenzio che restituiva il senso di un dolore vero, sentito; di una lacerazione che ora univa un intero Paese contro quella barbarie. A colpirmi, in particolare, era stata la reazione tanto composta quanto corale dei palermitani. In pochi giorni, finestre e balconi si erano riempiti di lenzuola bianche: un’espressione inedita e un messaggio forte, muto come il lutto. Quando CGIL, CISL e UIL proclamarono la prima manifestazione nazionale a Palermo, mi fu chiesto di pensare a un manifesto, un messaggio in grado di dare voce allo sdegno di un intero popolo. Davanti al foglio bianco, la reazione istintiva fu l’associazione con quelle lenzuola, ma doveva esserci anche un’icona, un simbolo capace di arrivare al cuore di chi guarda. Lacerai il foglio proprio al centro con due strappi che correvano paralleli e feci passare all’interno delle rose rosse spezzate. L’effetto mi colpì e mi commosse. Anche uno sguardo distratto poteva “leggere” i messaggi impliciti: i fiori deposti sulla tomba, il senso delle rose e delle vite recise e, ancora, la singolare ricomposizione della bandiera italiana. Legai la composizione a un titolo che a sua volta poteva essere letto almeno in due accezioni diverse: “L’ITALIA PARTE CIVILE”. Nel 2000, l’Associazione Nazionale Magistrati adottò quell’immagine come icona simbolo per ricordare tutti i giudici uccisi dalla mafia e dal terrorismo. Quando però mi capita di rivedere “le rose spezzate”, il ricordo torna a quei momenti dolorosi. Dolore che, dal 25 febbraio scorso, si è acuito perché è uscita di scena un’altra figura straordinaria, legata a quella stagione, Liliana Ferraro, collega e collaboratrice di Giovanni Falcone. Così, per riequilibrare lo stato d’animo, corro con la memoria a ritrovare una bella serata della primavera di trent’anni fa, in cui eravamo tutti insieme. Giovedì 14 maggio 1992. Antonio Romano Presidente e fondatore di Inarea

Era di maggio

Quanto risuona d’Europa questa settimana? La bandiera a 12 stelle si prende tutto il suo posto in un blu dipinto di blu. La citazione di Modugno non è un caso: nel comporre il suo inno fu un’immagine a guidarlo ed era un azzurro di Chagall (pittore russo, ma lo scriviamo tra parentesi). E dunque, questi sono i giorni in cui Torino si appunta sul petto la spilla dell’Eurovision, nato nel 1956 su ispirazione del nostro Sanremo. Eppure, scorrendo i vincitori da quell’anno ad oggi, troviamo una nutritissima lista di campioni rimasti, ahinoi, solo locali (Abba a parte, che ebbero una speciale licenza per cantare in inglese e non in svedese). Dunque, per ricavare da questa settimana qualcosa che superi la prova del tempo, dovremmo forse rivolgerci ai suoi potenziali di base: suono e visione. Il primo è una musica senza parole. Sarà un caso, ma il concerto di lunedì 9 maggio al Campidoglio (anniversario della Festa dell’Europa, dedicata a David Sassoli), ha aperto con l’”Estate” di Vivaldi: una melodia che non bussa, entra sicura, diremmo in gergo di primavera. La seconda è far parlare, senza nessuno scioglilingua, solo l’immagine. E infatti questo sabato sarà la Notte Europea dei musei, con ingresso serale e ad un costo simbolico in molti istituti culturali del continente. Del resto, il discorso di Robert Schuman del 9 maggio 1950 (da cui partì la nostra Europa), ha superato la prova del tempo. Allora come oggi, i problemi erano acciaio, energia e guerre; come preservare la pace mondiale? “Con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Mettiamo così al centro una composizione che evoca solo suono e visione; è il nostro piccolo contributo creativo. Fiorirà l’immaginazione?

Se la Mole si rifà il trucc

E se in barba a ogni stereotipo vi dicessimo che il kolossal è nato a Torino? Peccato che poi questa parola sia rimasta sabauda il tempo di un velo di fard. Siamo nel 1914, il film si chiama Cabiria, la casa di produzione Itala e il regista Giovanni Pastrone, anche se passerà alla storia come il ghostwriter di Gabriele D’Annunzio: per solidificare oltralpe la settima arte, serviva infatti il vate. Da Broadway alla Casa Bianca, Cabiria farà il giro d’America: tutti apprezzarono quella sapienza italiana, un po’ artigianale e un po’ tuttofare, di saper fondere contenuto, musica e animazione, per un’opera che era “colossale” già nella lunghezza (una pellicola di oltre 3 mila metri contro una media mondiale di soli 200). Se l’alba del cinema è stata sotto la Mole, ci sembra così molto naturale il fatto che il Museo Nazionale del Cinema di Torino questa settimana abbia siglato un accordo con l’Academy di Hollywood: sul tavolo un restyling dell’edificio, un gemellaggio tra direttori e mostre e il primo coordinamento tra i musei di cinema del mondo (tra cui la Cinémathèque française, l’Australian Centre for the Moving Image, il London Film Museum, l’Eye Film Institute di Amsterdam). Se la Mole si rifà il trucco, la città non sta di certo a guardare: il maggio torinese è già stretto tra l’Eurovision e il Salone del Libro. L’impressione è proprio che l’elegante signora bohémien non avrà neanche un minuto libero per incipriarsi il naso.

Per il Primo Maggio, l’ape calza alla perfezione

“Bee’s knees” è un modo di dire inglese che sta per “high standard”, espressione avvinta da zelo professionale. Così può essere la performance, l’aspettativa, ma anche i desiderata delle cosiddette soft skills: “il candidato deve avere propensione al lavoro di gruppo, spiccato problem solving e attitudine al team building”. È il refrain più noto di LinkedIn. L’ape, da cui derivano queste espressioni, è da sempre associata al lavoro, quello corale, onesto e organizzato. Non a caso, è stata adottata come marchio di associazioni operaie e di banche popolari. Con lo stesso spirito, è entrata in ben 74 stemmi di comuni italiani e in un numero imprecisato di quelli di città e paesi, in tutta Europa. Ma è anche simbolo di immortalità e di resurrezione e con questi significati fu scelta, dai Merovingi prima e da Napoleone più tardi, quale riferimento araldico. È insomma un insetto così fiero del suo standing da evocare una certa propensione ai fasti. I Barberini, ad esempio, quando nel 1623 si ritrovarono un papa in casa (Maffeo alias Urbano VIII), si affrettarono a cambiare il logo di famiglia. Così, la loro araldica su frontoni e fontane si presentò con tre api; ma in origine erano tafàni. Da commercianti a papi, il cambio di standing richiedeva anche quello di crisalide e questa storia ci insegna che, nel ridisegnare la propria identità, ognuno può scegliere l’animale-totem che vuole… Per questo weekend, tuttavia, srotoliamo lacci e calzini della nostra ape e la portiamo nelle Marche dove, affacciata sulla costa di San Benedetto del Tronto, campeggia dal 1997 una scultura, con una frase: “Lavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare” (del torinese Ugo Nespolo). Non è decisamente un messaggio motivazionale da lunedì mattina, ma un invito a bandire dal lavoro invidia e avidità: praticamente ciò che non avverrà mai dentro un alveare. Decisamente high standard la nostra ape ed è così che ci vogliamo rappresentare. Buon Primo Maggio, e buon lavoro. Perenni originali Ci piace così tanto l’ape da averla assunta come simbolo di Inarea perché sa lavorare alla creazione di originali. Nel dubbio su come rappresentarla, tuttavia, abbiamo dato sfogo alla creatività dei nostri designer e il risultato è stato un piccolo alveare. MadeInarea Nel 1983, quando disegnammo il simbolo della CGIL, l’idea di smart working, magari proprio riva al mare, non era praticamente immaginabile. Il marchio, esteso al sistema di identità, fu adottato ufficialmente dalla Confederazione nel 1986. E ci piace constatare che, a distanza di quasi quarant’anni, l’immaginazione di allora abbia conservato una giusta contemporaneità. Anche per questa Festa del Lavoro!

La Via Lattea dell’arte

Domani apriranno i battenti della 59ª Biennale d’Arte e guardando dallo spioncino questi giorni di preview, abbiamo la sensazione che sarà un’edizione dalle mille e una notte; sarà popolata infatti da storie raccontate perlopiù da artiste donne (191) provenienti prevalentemente da luoghi come Dakar, il Venezuela o l’Iran. Tutto prende spunto da Il latte dei sogni, un libro di racconti per bambini dell’artista Leonora Carrington (1917-2011). Nata in Inghilterra, amica dei surrealisti a Parigi (e surrealista lei stessa), sceglierà però di vivere in Messico, luogo dal mito verde e puro, dove diventerà un’eroina nazionale. La biografia di Leonora, tutta sud e magia, lancia il gomitolo della mostra che rotolerà tra i Giardini e l’Arsenale: 1433 opere, per 213 artisti da 58 Paesi. Abbiamo così preparato il nostro telescopio tutto al femminile che ci fa guardare lontano, per una Biennale a testa insù (nei sogni certo, ma anche per distogliere un po’ l’occhio da questo presente). Del resto, come ci ricorda il titolo del Padiglione Italia di Gian Maria Tosatti, se forse stiamo vivendo una “storia della notte” è indubbio che seguirà un “destino delle comete”. E noi, in questa nuova Via Lattea, cominciamo ad aguzzare la vista.