Jean de La Fontaine serve tutti i vizi della sua specie su un piatto d’argento: ne sente l’odore, ne palpa la consistenza e li digerisce in un boccone. Ma con tutto il garbo di chi ha appena smesso di incipriarsi il naso.
Nella favola della rana e il bue, l’aria tronfia della prima – che si gonfia a più non posso – la troviamo in quei borghesi che lui definisce “più fumo che arrosto”. Marc Chagall, tra il 1926 e il ’27, interpreta queste praline di umanità in stile Luigi XIV in un centinaio di tavole che procedono per associazioni di colori: così abbiamo l’agnello e il lupo in rosso e giallo, il cavallo e l’asino in lilla e rosso. E così via.
Quanto a noi, abbiamo preferito attestarci sui toni neutri del metallo; in fondo, le “Favole” di La Fontaine non sono altro che specchi riflettenti, e noi i protagonisti di questo bestiario. E, come direbbe Leonardo Sciascia “a ciascuno il suo”.
Onomastico:
Santi Aquila e Prisca