ImaginareaDaily

A novembre 2020 Inarea compiva quarant’anni e, a gennaio 2021, il Calendarea toccava il suo trentesimo anniversario.

Per festeggiare idealmente questi due compleanni con lo zero, è stato pensato di dedicare ad amici e lettori un’immagine al giorno per tutto il 2021.

È nata così Imaginarea Daily: un modo per augurare buona giornata con ironia e leggerezza.

Dal Branding alla UX. Il design nel settore finanziario

Design e finanza sono profondamente connessi: ogni progetto contribuisce non solo a creare valore, ma anche a rafforzare la strategia complessiva dell’azienda. Mario Suglia esplora come, con la crescente digitalizzazione, sia possibile trasmettere l’identità di banche e assicurazioni in modo coinvolgente ed efficace, utilizzando strumenti come l’UX design e lo storytelling. Per una relazione con il cliente più empatica ma soprattutto autentica.

Che relazione c’è tra finanza e design? E qual è l’approccio di Inarea ai progetti in ambito finance & banking?

Oggi, la relazione tra finanza e design è diventata sempre più stretta e strategica. Non si tratta più di due ambiti così nettamente separati: ogni progetto di design crea valore economico e, dunque, genera finanza. In passato erano mondi separati: la finanza era concentrata perlopiù sulla gestione del denaro e sugli investimenti, mentre il design era impegnato a dare estetica, funzionalità e linee guida per la comunicazione corporate e di prodotto. Guardando con attenzione il secondo dopoguerra si possono però scorgere punti di contatto. Pensiamo a quanto furono incisivi per le vendite, dagli anni ’50 agli anni ’70 del secolo scorso (nel “boom economico”), il packaging, l’estetica e la pubblicità. Con l’avvento del consumismo si capii che un prodotto ben progettato ed esteticamente più bello e funzionale, si vendeva di più. Le aziende, quindi, erano ben felici di finanziare programmi di design pur di aumentare i profitti.

Oggi, le imprese sono ben consapevoli che il design genera valore. Si pensi alle molte aziende cosiddette “design-driven” quali Apple, Tesla o Dyson ma anche Airbnb. Il design è alla “base” del capitale e determinante in termini di equity. Esistono fondi di venture capital specializzati in investimenti ‘corporate’ che privilegiano il design e la creatività. Mai sarebbe potuto succedere fino agli anni Ottanta del XX secolo.

In questo senso, Inarea si distingue per il suo impegno nel dare forma ai significati propri dell’impresa attraverso un design capace di generare bellezza e valore, unendo logiche finanziarie, strategiche ed estetiche in un unico concetto di design: il design integrato (“integrated design”) che esprime significati e genera valore attraverso forme visive, sonore, olfattive, tattili per spazi e ambienti, digitali e persino comportamentali.

È possibile trovare una metodologia generale nei progetti che Inarea ha seguito nel settore finanziario?

Inarea ha adottato da tempo una metodologia che impone al gruppo di lavoro, in ogni fase del progetto, di rileggere l’“oggetto osservato” (azienda, prodotto, servizio, ecc) attraverso una strategia che lo riconfiguri all’interno del settore di riferimento e che, allo stesso tempo, tenga conto dei vari linguaggi di brand. Per esempio, se siamo chiamati a realizzare un sound logo, non andiamo necessariamente a modificare il marchio e i linguaggi di brand, ma li decodifichiamo per intuirne i significati e su questi progettiamo sonorità che si integrano ‘naturalmente’ nel sistema di identità. Si tratta quindi di un processo fortemente animato da ciò che abbiamo definito Integrated Design. E tale processo viene applicato su ogni realtà tenendo conto delle sue peculiarità. 

Le istituzioni finanziarie con cui abbiamo lavorato negli ultimi anni, cito tra queste il Gruppo BCC Iccrea, Banca Ifis, BAPS e Sara Assicurazioni, presentano caratteristiche, storie e relazioni diverse. Per BCC il micro-territorio è il motore del suo agire e l’aspetto determinante nella costruzione del suo brand; lo stesso si può dire per BAPS, Banca Agricola Popolare di Sicilia, per la quale il territorio acquisisce centralità: da qui il positioning statement “Siamo la Sicilia prossima”, perché vuole essere una banca vicina alle imprese e alle persone, aiutandole a dare forma al proprio futuro. Individuare il contenuto più profondo, definire l’idea di futuro e darle forma: questo in ogni nostro intervento, quindi, anche nel mondo finance. 

Inarea parte sempre dallo stesso presupposto: comprendere i significati più profondi e distintivi di ciascuna realtà e tradurli in un design coerente ed efficace. Il lavoro viene affidato a team interni con competenze verticali nel settore finanziario, supportati da chi ha competenze più ampie e trasversali, assicurando una rappresentazione mirata e conforme agli obiettivi strategici del brand.


Sara_Assicurazioni

Quali cambiamenti apporterà la continua implementazione digitale all’esperienza in questo settore?

Negli ultimi anni non c’è banca o istituzione finanziaria che non abbia compreso che il design, soprattutto l’UX/UI, il branding, il service design e la customer experience, non è solo una questione di estetica ma un asset strategico e patrimoniale, in grado di aumentare il valore finanziario. La digitalizzazione dei servizi finanziari sta trasformando radicalmente l’esperienza utente nel mondo finance. In un ambiente sempre più connesso e disintermediato, è fondamentale progettare esperienze digitali coinvolgenti, con un focus crescente nell’interazione emotiva (grazie al disegno di interfacce e di percorsi ‘belli’, semplici e funzionali) e allo storytelling. Le banche dovrebbero integrare strumenti narrativi e visivi, come storie autentiche, linguaggi leggeri, ironia ed eleganza, per compensare la riduzione di contatto umano e rafforzare il legame con i clienti. Nonostante gli aspetti normativi e di sicurezza restino imprescindibili, il futuro dell’identity design in ambito banking e finanziario dovrà sempre più essere orientato alla creazione di esperienze emozionali, dove il design non solo comunica ma coinvolge, fidelizza e ispira, andando oltre i numeri e le percentuali per scoprire e rivelare la relazione. Questo non solo in spazi digitali, ma anche negli spazi fisici, da ripensare quali elementi esperienziali, che accendono relazioni autentiche: da sportelli bancari a luoghi empatici, capaci di facilitare il dialogo.

Quindi, anche le banche oggi dovrebbero essere design-driven, ovvero progettare esperienze in grado di attrarre, coinvolgere e fidelizzare l’utente attraverso un’interazione intuitiva e significativa (basata, cioè, su significati veri e profondi). Il focus non è più solo sul servizio ma sull’intero disegno della relazione: cosa vive e prova il cliente ogni volta che interagisce con la banca. Infine, le tecnologie di frontiera, prime tra tutte l’intelligenza artificiale e il quantum computing andranno a ridisegnare il rapporto tra banche, istituzioni finanziarie e clienti. Il design sarà ancora una volta centrale nella rappresentazione di nuovi “ambienti” e nel disegno di un nuovo concetto di relazione. Ma di questo ne potremo parlare in una prossima intervista.

BAPS, la banca che parla la lingua delle sue radici

Nella comunicazione bancaria emerge una chiara tendenza verso la semplificazione e l’affermazione di un tono autorevole e relazionale. Gli istituti di credito cercano di consolidare la fiducia attraverso un tone of voice sobrio e diretto, affiancato da una dimensione visiva essenziale. L’obiettivo è duplice: trasmettere solidità istituzionale e rafforzare l’identità del brand in un mercato sempre più digitale. “In quest’ottica”, racconta Emanuela Camera Roda, project director di Inarea, che ha guidato il progetto di brand identity per BAPS (la Banca Agricola Popolare di Sicilia), “si assiste a una progressiva convergenza della comunicazione verso il master brand anzichè la proposizione dei singoli prodotti. Quest’approccio favorisce coerenza, chiarezza e riconoscibilità lungo tutti i touchpoint – fisici e digitali”. Ma veniamo all’esperienza di BAPS, un progetto di brand identity nato da un’esigenza profonda: ridefinire l’identità di una banca storica senza tradire le sue radici territoriali.

BAPS è infatti l’unico importante istituto di credito presente in tutta la regione a essere autenticamente siciliano. È una banca cooperativa per azioni e i suoi soci (spesso dipendenti) vivono e operano nell’isola.

Il nuovo racconto ha voluto partire da questa unicità, recuperando i riferimenti storici dei movimenti cooperativistici che, tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, diedero vita a forme organizzate in grado di restituire dignità a quelle fasce di popolazione disagiate, che non potevano avere accesso al credito. I simboli di quei movimenti erano spesso riferiti al mondo agricolo: la spiga di grano, la rosa, il mietitore, l’ape ecc.. In questo quadro, proprio per rimarcare il ‘carattere’ siciliano, è stata adottata come marchio la stilizzazione di una pala di fico d’India: una pianta presente in tutto il Mediterraneo ma fortemente radicata nel paesaggio dell’isola. Una scelta che vuole evocare in maniera semplice, iconica e ironica, la capacità di resistere a condizioni ambientali estreme, crescendo e moltiplicandosi. Al tempo stesso, è un segno capace di dare rappresentazione al legame fortissimo che unisce BAPS al suo territorio, superando l’iconografia ‘consueta’ del mondo bancario, in genere conservatrice.

Il colore verde, nuovo protagonista del marchio, richiama direttamente il valore della parola ‘agricola’ presente nella denominazione della banca e si fa portavoce implicito di sostenibilità. Al contempo, il blu storico di BAPR viene mantenuto nella tipografia per preservare il tono istituzionale e la continuità con il passato. Il risultato è un’identità cromatica che bilancia natura e autorevolezza, passato e futuro.

Un sistema coerente dal fisico al digitale

Il progetto ha previsto una riorganizzazione sistemica dei brand di prodotto, eliminando marchi e simboli superflui e riportando tutto sotto l’ombrello visivo del master brand BAPS. Questa “brand concentration” ha coinvolto ogni aspetto della comunicazione: dalle insegne fisiche – adattate con sensibilità ai contesti specifici e locali – alle piattaforme digitali. La coerenza formale su tutti i canali è diventata fondamentale per rafforzare il senso di appartenenza all’universo BAPS, rendendo ogni touchpoint un elemento riconoscibile e rassicurante.

Presenza territoriale e di prossimità

Pur nell’era del digitale, BAPS ha scelto di non ridurre la propria presenza fisica. Al contrario, ha acquisito nuove filiali nel territorio siciliano, confermando che, soprattutto per una banca cooperativa e locale, il contatto umano resta centrale. Le filiali rappresentano presidi di fiducia, soprattutto nei piccoli centri, contribuendo a mantenere saldo il legame con le comunità. Il risultato è una nuova identità forte, coesa, contemporanea, ma profondamente radicata nella storia e nei valori della banca.

Quel legame tra Venezia e Biennale

“Tra la Biennale di Venezia e la città esiste un legame simbiotico”, spiega Antonio Romano alla vigilia della 19a Mostra internazionale di architettura dal titolo “Stranieri Ovunque”. Nel 2001 Inarea realizza la brand identity dell’Istituzione tuttora in utilizzo. Ispirato dalla celebre colonna di Piazza San Marco, il logo ne trasforma il fusto in una campitura rossa, colore fortemente radicato nella cultura e nella storia della Serenissima, che incornicia il nome in bianco, mentre il leone stilizzato interpreta la scultura bronzea alata, originariamente una chimera a cui furono aggiunte poi le ali. Il marchio è caratterizzato da un forte sviluppo verticale, riequilibrato da un quadrato rosso posto a fianco della colonna che inquadra, mettendo in risalto il contenuto, ovvero il sistema di eventi culturali e artistici – Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica, Teatro, Archivio Storico: il perimetro che rende la Biennale un riferimento a livello globale e un forte incentivo a tornare in visita a Venezia durante tutto l’anno.



Come mai questa brand identity è così longeva?

“Perché è semplice. È una sorta di cornice che mette in risalto il contenuto e l’organizzazione culturale dell’istituzione. Diventa un organismo di segni, un design coerente e riconoscibile che si estende a tutti i diversi eventi e manifestazioni. È una sorta di cappello che accomuna e che viene esteso non solo al programma culturale, alla mostra istituzionale o agli spazi espositivi delle varie nazioni partecipanti, ma anche al relativo sistema segnaletico e comunicazione pubblicitaria nella città. Onore all’Istituzione per l’aver saputo utilizzare questo sistema in modo efficace e non invasivo nel tessuto urbano. Se la brand identity ha contribuito a rendere la Biennale riconoscibile, l’Istituzione ha reso Venezia più attrattiva garantendo qualità, articolando l’esperienza dei visitatori e offrendo una nuova relazione con la città stessa che diventa una destinazione non solo per il turismo, ma anche per gli eventi culturali. Tra la Biennale e la città sussiste un legame per cui una è parte dell’altra. E la Biennale diviene un tutto onnicomprensivo: infatti, pur essendoci molteplici biennali nel mondo, il termine richiama alla memoria in maniera immediata quella di Venezia”.

Quali sono i presupposti del marketing territoriale attraverso operazioni di tipo culturale?

“Alla base c’è il riconoscimento di un sistema di valori e di segni impressi nel territorio. Il marketing territoriale nasce da un processo di semplificazione: più il risultato è sintesi di elementi riconducibili, anche implicitamente, a un determinato luogo, più è efficace. Nel corso dei decenni abbiamo realizzato svariati progetti di city branding: da Roma Capitale, in cui il celebre acronimo SPQR e i colori rosso e giallo (trasposizione dell’oro imperiale) si sono talmente radicati nell’immaginario collettivo da diventarne emblema – si veda anche il successivo progetto di brand identity di Sapienza, Università di Roma che sostituisce il rosso al tradizionale blu dell’istituzione, alla città di Milano [leggi anche “Milano, città della ribalta”] in cui il rigore della croce del simbolo araldico diventa elemento organizzativo in grado di coordinare la comunicazione.



“Sono da segnalare anche i casi di New Administrative Cairo Capital – City of Arts and Culture e di Pompeii. Pur essendo quest’ultima una città non più esistente, il progetto di brand identity e di signage & wayfinding del sito archeologico presenta elementi di similitudine con l’organizzazione e la fruizione delle informazioni di un contesto urbano “vivo”. A fronte di esigenze di sintesi nelle mappature, fruizione internazionale, leggerezza visiva e durabilità degli elementi di segnaletica, il progetto risponde alle medesime logiche di attrattività, esperienza e facilità di utilizzo alla base del marketing territoriale urbano. Analogamente, per la nuova città per le arti e la cultura del Cairo abbiamo realizzato un marchio che lega il richiamo internazionale alle piramidi con le ali dell’aquila di Saladino, simbolo dell’Egitto. Abbiamo poi sviluppato un complesso sistema di wayfinding con percorsi pedonali e veicolari che dal mondo esterno si estende all’interno degli spazi, codificandoli in una segnaletica comune. È una città di nuova fondazione, chiamata a ospitare oltre sei milioni di abitanti, in cui auspicherei un legame simbiotico con l’universo urbano simile al caso della Biennale di Venezia”.

Metropolitana milanese. Segnaletica e wayfinding interpretano un’icona

Il progetto delle linee 1 e 2 della Metropolitana di Milano è una pietra miliare nella storia del design italiano. Un progetto valso ad ATM, Franco Albini, Franca Helg e Bob Noorda il Compasso d’Oro nel 1964 e che introduce concetti di immagine coordinata e standardizzazione. Tra gli elementi di forte riconoscibilità la fascia continua e perimetrale nelle stazioni, con il nome della fermata ripetuto ogni cinque metri per essere letto dal treno in movimento. Per la segnaletica, Noorda ha ridisegnato i caratteri Helvetica creando un font che ha preso il suo nome.

La moltiplicazione nel tempo di stazioni e linee, così come la necessità di adeguamento a normative di sicurezza e nuovi servizi hanno imposto ad ATM un processo generale di refreshing della segnaletica e del wayfinding a partire dalla metà degli anni Duemila. “Inarea ha iniziato dalla progettazione della Stazione Garibaldi. È stato stimolante e gratificante confrontarci con un progetto come la Metropolitana milanese, che abbiamo interpretato in chiave rispettosa e filologica”, precisa Niccolò Desii, design director e partner di Inarea che da vent’anni segue la collaborazione con ATM.

Segnaletica e type design. L’interpretazione di un’icona

“Abbiamo trovato un’intervista a Bob Noorda in cui dichiarava che avrebbe voluto creare anche il carattere minuscolo per la Metropolitana di Milano. Stazioni più recenti con nomi più lunghi così come semplici messaggi da introdurre – quali “ai treni” o “uscita” – necessitavano del carattere minuscolo, di più facile lettura. Abbiamo dunque sviluppato un font (Metro Type) a partire da quello di Noorda per declinare la parte testuale di pannelli, cartelli informativi, regolamenti di stazione ecc., ovvero uno strumento con cui ATM avrebbe potuto esprimersi in modo omogeneo e coerente. Abbiamo poi svolto un complesso aggiornamento del manuale per rendere maggiormente integrate le prime linee della Metropolitana con la M3 che presentava elementi di discontinuità, dall’architettura dei cartelli all’illuminazione nelle fasce segnaletiche. In quel periodo fu nuovamente coinvolto lo studio Noorda che si propose per l’aggiornamento del carattere tipografico. Così ATM si ritrovò con due caratteri: quello di Noorda per la segnaletica delle stazioni e il Metro Type di Inarea per le altre informazioni testuali, che comunque dialogano bene perché nati dall’interpretazione del font del 1964”.

Regole e wayfinding per un progetto che duri nel tempo

“Dopo quella di Garibaldi abbiamo realizzato la segnaletica e il wayfinding di altre dieci stazioni della Metropolitana. Nel tempo, abbiamo seguito l’aggiornamento di segnaletica, livree e mezzi di superficie fino all’ultima, la M4, per la quale abbiamo realizzato la mappa aggiornata della viabilità. Abbiamo creato un insieme di regole e algoritmi semplici per consentire una distribuzione dei segnali nello spazio in maniera coerente, omogenea e funzionale ai flussi interni delle varie stazioni. La distribuzione deve evitare la sovrabbondanza di informazioni in spazi ristretti o di transito e posizionare i cartelli sugli snodi o, nel caso di distanze eccessive, a conferma della direzione. In snodi importanti in cui si incrociano più linee, abbiamo dato delle regole generali. Il vademecum indica le caratteristiche dei cartelli come, ad esempio, la luminescenza o la disposizione ortogonale o laterale al varco. Abbiamo infine ridisegnato i pittogrammi e i cartelli più tecnici dei regolamenti o delle normative, consentendo a chi deve predisporre la segnaletica di categorizzare i soggetti e la loro futura distribuzione negli spazi delle stazioni.

Milano, città della ribalta

La design week milanese è una mise en scène di un potenziale e un primato riconosciuti nel mondo. Ciò si basa su un’idea di design, il furniture design, formatosi storicamente nel tessuto stesso della città, rappresentato dal 1961 dalla fiera (il Salone del Mobile) e dal 1990, grazie alla rivista Interni, dal FuoriSalone quale sistema di eventi in città.

“La questione da porsi oggi”, commenta Antonio Romano, “proprio nell’edizione in cui la proposta deve fare i conti anche con i dazi imposti da Trump, è sul rafforzamento dell’identità del Salone del Mobile e sul ruolo che la Design Week dovrà interpretare. In prospettiva, non può essere circoscritto il tutto al furniture design (e alle sue derivazioni più prossime), proprio mentre la parola design diventa quella più aggettivata in ogni vocabolario … persino il filosofo Luciano Floridi definisce la sua materia un design concettuale! A preoccuparmi, in definitiva, è il successo che si traduce in autocelebrazione. È necessario, perciò, che la Design Week si apra alle varie dimensioni della disciplina per capirne le interazioni, facendo leva sulla storica capacità di Milano di attrarre la creatività”.

In che modo Milano e la design week possono continuare a essere attrattive?

“Bisogna ripensare il FuoriSalone senza indebolire il Salone del Mobile. È necessario promuovere un palinsesto di eventi in città non meramente legati a ciò che accade in fiera, al mobile, conservando la qualità del genius loci ma aprendosi a esperienze internazionali che vedano Milano come città della ribalta perché capace di valorizzare anche l’attrattività verso altre ‘capability’. Ma se la kermesse rimane troppo focalizzata sulla logica degli eventi o diventa troppo autoincensante, non ha molto davanti. Non bisogna fare dell’immanenza del presente, del ‘new & more new’ basato sulle misurazioni che portano i ‘cuoricini’, l’elemento chiave di tutto”.




Che significa Milano per Inarea?

“Abbiamo aperto i nostri uffici milanesi nel 1988: l’Enichem era diventato un cliente importante e dovevamo garantire una presenza pressoché quotidiana. Poco tempo dopo, arrivarono Snam e Union Carbide e, con quest’ultima, avviammo una collaborazione a livello europeo. Perché la Milano dell’epoca era anche questo: una capitale del design dove poter incontrare le realtà internazionali. E i primi clienti all’estero li conquistammo proprio grazie al nostro essere qui.
Nel 1999 vincemmo la gara per il redesign dello stemma e la riorganizzazione del sistema di identità del Comune di Milano. Il progetto ci permise di cogliere l’essenza della Città, in una fase critica della propria storia, esaltando il binomio caratteristico di Milano: l’attaccamento alle tradizioni e l’amore per l’innovazione. Il nuovo disegno dello stemma soppiantò in breve tempo tutte le versioni preesistenti ma il cuore dell’intervento era nella volontà di fare della stessa parola Milano un brand. D’altro canto, se molte realtà imprenditoriali (a partire da Prada) associavano al loro marchio il proprio essere a Milano, evidentemente la Città costituiva (e continua a costituire) un valore aggiunto. Disegnammo perciò un carattere tipografico – denominato appunto Milano City – e isolammo la parola dalla dicitura “Comune di Milano” … Il progetto si fermò con la fine del mandato della Giunta Albertini: sopravvive ancora ma è stato assoggettato a dei rimaneggiamenti. In quegli anni di profonda trasformazione urbana realizzammo anche dei progetti di branding significativi per interventi di real estate, che hanno modificato lo skyline della città: Milano Santa Giulia, prima, e qualche anno dopo Milano Porta Nuova; seguì poi Pirelli RE (oggi Prelios). Per restare nell’ambito delle realtà-istituzioni di Milano, vale la pena ricordare i rebranding di Borsa Italiana e di Edison. E, sempre nel campo dell’energia, firmammo anche il nome e il brand della nuova multiutility lombarda A2A. Nello stesso meta-settore, ma in tempi più recenti, i rebranding di Snam e di Italgas e, continuando a memoria, le brand identity del Fondo Infrastrutturale Italiano F2i, la Fondazione Cariplo, la Fondazione Fiera Milano, Conservatorio di Milano, Casa Milan e tanti altri interventi magari nati a Milano ma destinati altrove, come ad esempio la brand identity della Biennale di Venezia, che meriterebbero di essere ricordati … Ci sono poi i progetti che conservano continuità nel tempo e toccano il quotidiano dei cittadini milanesi, come ad esempio la razionalizzazione del wayfinding di ATM, dove è stata ridisegnata  la segnaletica (il sistema dei pittogrammi) e creato un carattere tipografico display (Metro Type)”.

Mario Suglia, General Manager. Perché le aziende hanno bisogno di leader gentili.

Perché le aziende

hanno bisogno di leader gentili

Mario Suglia, General Manager

“La leadership gentile nelle aziende diventa leadership collaborativa. Abbiamo scoperto l’importanza della relazione, proprio quando ci è venuta meno la fisicità e la prossimità.”

Potremmo dire che tutto è cominciato con un elefante. Probabilmente una mamma elefante. E con la sua spinta “gentile” al piccolo – si fa per dire: appena nato è già un quintale – magari usando la proboscide, per suggerirgli il cammino giusto, le abitudini sociali, uno stimolo a decidere, senza perdere tempo. Soprattutto per evitare che il piccolo elefantino, se mai avesse coscienza, potesse dire: perché mi tratti male?

La domanda è quella che si pone Guido Stratta, direttore Risorse Umane di Enel, quando parla del suo libro “Ri-evoluzione. Il potere della leadership gentile”, scritto a quattro mani con la psicoterapeuta Bianca Straniero Sergio (Franco Angeli editore). Una domanda che si è fatto spesso all’inizio della sua carriera e che ha sentito ripetere spesso da qualche suo più giovane collega, quando ha a che fare con il suo “superiore”.

Il machismo aziendale dovrebbe essere messo in soffitta, proprio quando ci ispiriamo ai pachidermi. L’immagine della mamma elefante e del suo piccolo è quella che ci è rimasta nella memoria sulla copertina di “Nudge” (la spinta gentile, appunto), pubblicato nel 2008 da Richard Thaler e Cass R. Sunstein. L’economia comportamentale ha rotto l’argine delle abitudini gerarchiche e assertive che a lungo sono sembrate l’unico modo per organizzare il lavoro e per dirigerlo.

È la consapevolezza della fallibilità – l’economia comportamentale di Thaler si basa proprio sulla “razionalità limitata” del decisore – che ci deve rendere più gentili. Stratta ci tiene a dire – nel suo libro e nelle conferenze, quasi sempre webinar, in quest’ultimo anno e mezzo, ovviamente – la gentilezza di cui parla e che vuole attribuire alla nuova leadership non ha nulla a che vedere con il Galateo, né con la biologia (nel senso della più o meno naturale propensione individuale alla cordialità e alla cortesia). La leadership gentile è una scelta. Una scelta intelligente, cioè conveniente. Sembra una scoperta della post-pandemia, quando abbiamo dovuto adeguarci ai rapporti distanziati, in qualche modo più rarefatti, dove lo scatto d’ira – la porta sbattuta o la voce che si alza di due ottave – è meno praticabile e anche meno efficace.

Nei rapporti “a distanza” prevale una lentezza apparente, che premia la gentilezza; la scelta di non esasperare, anzi, di favorire la comprensione già minata da una comunicazione che ha dovuto fare a meno di molta comunicazione non verbale. Meno istinto e più pensiero. Ci vuole un po’ più di tempo per ascoltare, e il tempo impone scelte più morbide, più cariche di “energia positiva” come dicono gli autori.
Nel tempo della riscoperta sostenibilità – ambientale, sociale, organizzativa – anche le relazioni tra persone che lavorano insieme ritornano centrali, proprio se sostenibili. Anche psicologicamente. La relazione fa e farà sempre più la differenza. Senza andare agli estremi di Johan Huizinga – il grande storico del Medioevo sosteneva che l’amicizia costituiva la grande differenza nelle relazioni tra regnanti e governanti – si può ben dire che nel tempo del post-Covid la relazione diventa fondamentale nei rapporti tra collaboratori. Bisogna competere ferocemente con sé stessi, ma collaborare sempre con tutti gli altri.

La leadership gentile nelle aziende diventa leadership collaborativa. Abbiamo scoperto l’importanza della relazione, proprio quando ci è venuta meno la fisicità e la prossimità. Abbiamo scoperto il contatto quando abbiamo dovuto re-inventarlo oltre lo schermo di un pc. La gentilezza è il tratto della relazione riscoperta nella sua essenzialità. La relazione – tra persone, tra brand e consumatori, tra brand e stakeholder, tra imprese e comunità territoriali – è sempre più forte. Quindi richiede cura, attenzione, gentilezza, appunto. E bellezza.
E’ il destino del design. Il design è rappresentazione dell’essenza, dell’anima un tempo dell’oggetto e ora della relazione. È la rappresentazione in una dimensione di processo e quindi di continuo divenire.

In questo quadro, posto in essere dall’avvento digitale, il brand design coniuga dimensioni materiali e immateriali ridefinendo in chiave contemporanea il senso di comunità. È un processo molto più articolato, che investe qualsiasi cosa e recupera l’accezione valoriale quale punto di congiunzione tra chi propone e chi sceglie, secondo logiche improntate a una logica di dialogo. Per questo oggi, il brand svolge un ruolo molto importante. In un periodo di crisi, molte aziende stanno guardando al futuro con la voglia di rimettersi in discussione. Si stanno ridisegnando, stanno dando sempre più importanza ai propri valori, stanno riscoprendo la loro identità. Ed è proprio qui che interviene il brand: dare rappresentazione dell’idea di futuro, dei valori, delle aspirazioni.

Il brand disegna le relazioni tra l’azienda e i suoi stakeholder, e tra tutti i collaboratori interni, e, come mamma elefante, dà la spinta gentile per fare dell’azienda un leader… gentile.