Gustave Flaubert viene processato subito dopo l’uscita di “Madame Bovary”: c’erano troppi “ritratti lascivi” per la morale del tempo.
Non aveva tutti i torti, però, il pubblico ministero. Guardiamo ad esempio la sensualità traboccante del banchetto di nozze: lo scrittore plana su una tavola ingombra di cosciotti, sanguinacci e vassoi di crema gialla tremolante. Il climax arriva con la torta nuziale, un tempio diabetico di portici, statue e “laghetti” di marmellata. In cima, solo, un amorino si dondola su un’altalena di cioccolata e boccioli di rosa.
L’eloquio di Flaubert già da queste righe traccia il destino di un matrimonio segnato.
La storia di Emma Bovary ci insegna che lo scarto tra aspettative e realtà può essere non solo crudele, ma fatale. Per cui, il nostro ricordo delle nozze non tradisce il realismo del suo autore, ma viene in soccorso alla giovane con il tocco delicato di cui, forse, avrebbe potuto avere estremo bisogno: le abbiamo così regalato un risveglio certo non all’acqua di rose, ma anche meno amaro, per il suo caffè mattutino.
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San Zeno