ImaginareaDaily

A novembre 2020 Inarea compiva quarant’anni e, a gennaio 2021, il Calendarea toccava il suo trentesimo anniversario.

Per festeggiare idealmente questi due compleanni con lo zero, è stato pensato di dedicare ad amici e lettori un’immagine al giorno per tutto il 2021.

È nata così Imaginarea Daily: un modo per augurare buona giornata con ironia e leggerezza.

Inarea: un design lungo 45 anni

I 45 anni di Inarea rappresentano un momento prezioso per guardarsi indietro e, al tempo stesso, immaginare il futuro. Anche se di solito sono i “compleanni con lo zero” a spingere alle riflessioni più profonde, questa tappa invita comunque a fare il punto sulla progettazione della brand identity, in un’epoca in cui design e comunicazione sono stati trasformati – tecnicamente e nei contenuti – come mai prima. Molte delle vecchie regole e degli strumenti di 45 anni fa non esistono più, ma i principi fondamentali, quelli “antichi quanto il mondo”, restano saldi.

Antonio Romano, qual era l’ispirazione che ha guidato l’inizio del percorso?

All’inizio ci muoveva il sogno del total design: l’idea di progettare “dal cucchiaio alla città”, dove il graphic design diventava un ponte tra discipline, un linguaggio universale per ogni forma di espressione. Questo ideale affonda le sue radici lontano nel tempo: pensiamo all’epoca dell’Araldo, che disegnava lo stemma del principe e lo declinava su tutto, architetture, uniformi e tessuti, creando un sistema simbolico di appartenenza in tempi di analfabetismo. In fondo, le logiche del branding non sono cambiate poi tanto. Anche oggi, pur in mezzo a una trasformazione tecnica e tecnologica enorme, i principi restano gli stessi.

Negli ultimi decenni la comunicazione ha subito un’accelerazione impressionante. Con il digitale, cosa è cambiato di più nel concetto di branding?

Gli anni ’80 erano l’epoca dell’esaltazione del visivo. Poi arrivano i ’90 con la telefonia mobile e Internet: una convergenza che cambia la storia dell’umanità. L’attenzione si sposta dall’araldica del prodotto a quella corporate, ma poi il passo ulteriore è stato la relazione: prodotti e servizi diventano esperienze, e la persona è al centro di tutto. Viviamo e lavoriamo in una dimensione digitale, uno spazio immateriale in cui trascorriamo gran parte del tempo attivo. I touchpoint fisici di un tempo sono stati integrati e spesso sostituiti da infinite interazioni online. La vera sfida oggi è costruire coerenza: nelle parole, nelle immagini, nei gesti digitali del brand, perché il giudizio dell’utente si forma in un istante e spesso è sommario e spietato.

In un mondo così complesso e frammentato, qual è il principio fondamentale per creare un’identità di successo?

Il principio che difendiamo è l’autenticità, cioè la base per rendere credibili e verificabili le affermazioni che un brand fa su sé stesso. Senza autenticità, il pubblico si allontana. Ciò si ottiene dalla convergenza di una trilogia: Purpose (il perché di ciò che fai), Process (il come lo fai) e People (le persone che lo rendono possibile, dentro e fuori l’organizzazione).

Oggi la brand identity è sempre più multidimensionale e multisensoriale. Anche Inarea si muove in questa direzione?

Certamente, il concetto di Brand Sense è per noi quasi un’ossessione. Ma in realtà non è affatto una novità. La Chiesa, per esempio, è maestra di branding: l’odore dell’incenso, la verticalità del campanile che domina la vista e diffonde il suono delle campane, l’atmosfera che unisce vista, olfatto e udito in un’unica esperienza (per non parlare della comunione, momento sublime della celebrazione, dove a essere coinvolto è anche il gusto). Persino l’architettura romanica nasce per rispondere alle esigenze di migliore propagazione del suono, in seguito all’introduzione dei canti gregoriani. Tutto questo insegna che, più un brand riesce a presidiare sensi diversi e a generare coerenza sinestetica, più forte e memorabile sarà il suo impatto.

Come vi state preparando, in Inarea, alle “nozze d’oro”?

Stiamo integrando competenze che un tempo delegavamo, soprattutto nel digitale, e ci stiamo aprendo all’Intelligenza Artificiale come strumento per amplificare velocità e profondità di contenuto. Il nostro mestiere impone di guardare sempre dalla prospettiva di chi ci osserva, degli stakeholder, ma la sostanza del valore identitario non cambia: vogliamo continuare a creare, attraverso il design, una comunicazione implicita e immediata, capace di generare impatto senza bisogno di spiegazioni – come diceva Oscar Wilde, “la bellezza ha il vantaggio sul genio di non dover essere spiegata”. Continueremo quindi a dare forma alla promessa di futuro restando una realtà ispirata sempre alla bottega rinascimentale, ma con un “brand corridor” in grado di orchestrare e coordinare in modo fluido le molteplici attività di comunicazione.

Sanità e identità

Dagli ospedali alle fondazioni, dalle aziende farmaceutiche ai sistemi regionali, Inarea ha raccontato la salute attraverso la brand identity. Ogni progetto è un modo per rendere visibile la “cura”: nei segni, nei nomi, negli spazi.
E soprattutto, nella relazione.

Sanità pubblica: uniformare per umanizzare

I progetti di identità per le Regioni Emilia-Romagna e Lazio hanno introdotto una logica di “umbrella brand” capace di dare coerenza a un sistema complesso e spesso eterogeneo e stratificato. Salute Lazio è un esempio di razionalizzazione che va oltre l’estetica: rende riconoscibili servizi, ospedali e comunicazioni, favorendo un linguaggio univoco tra istituzioni e cittadini. L’obiettivo è creare una sanità più accessibile e leggibile, dove il segno grafico diventa conferma implicita per il cittadino e quindi garanzia.
Il rebranding di Salute Lazio ha preso forma attraverso un intervento strategico che ha semplificato e unificato l’identità del sistema sanitario regionale. Il nuovo nome, “Salute Lazio”, è stato accompagnato dalla specifica “Sistema Sanitario Regionale”, mentre il marchio è stato progettato per evocare visivamente la croce rossa, simbolo universale della sanità. Il segno grafico, derivato dalla lettera ‘L’ di Lazio, ricompone idealmente una croce rossa/blu ed è stato utilizzato come elemento distintivo in tutta la comunicazione, creando un sistema coerente e facilmente riconoscibile. Questo approccio ha permesso di integrare le diverse strutture sanitarie regionali, sotto un’unica identità, facilitando e razionalizzando l’insieme dell’offerta dei servizi e migliorando l’efficacia della comunicazione istituzionale.

Ospedali e fondazioni: spazi che accolgono

Dal Policlinico Gemelli all’Ospedale Bambino Gesù, fino alla Fondazione Santa Lucia, Inarea ha accompagnato queste prestigiose realtà nella costruzione di  un’identità visiva in grado di rendere gli ambienti ospedalieri più contemporanei ed empatici. Il sistema di wayfinding del Gemelli, ispirato ai grandi hub aeroportuali, nasce per facilitare il movimento del paziente, restituendo autonomia e sicurezza. La sua brand identity, costruita in occasione del cinquantesimo anniversario, traduce in segno visivo i valori fondativi dell’istituto: radice cattolica, attenzione alla persona e visione della cura come atto vitale. Il blu Gemelli e la “G” che si apre in una croce, foglie e figura umana, raccontano una medicina che unisce fede, scienza e umanità. Nel caso della Santa Lucia, il simbolo dell’Albero della vita evoca il senso della rinascita, richiamando al tempo stesso i due emisferi del cervello umano: radici e pensiero, materia e mente.

Industria e ricerca: quando il brand unifica

La sanità privata e il mondo farmaceutico rappresentano l’altra metà del racconto. Inarea ha firmato l’identità del gruppo GVM (Gruppo Villa Maria), semplificandone il nome e rafforzandone il posizionamento come rete di eccellenza nell’ambito della cura e della ricerca.
Il progetto Angelini Industries ha invece unificato attività molto diverse tra loro, anteponendo la direzione e lo scopo (purpose) alle specifiche tradizionali, legate al prodotto: l’ambito farmaceutico, infatti, rappresenta poco più della metà del sistema.
Il caso Aventis Pharma, dei primi anni Duemila, rappresenta un caso paradigmatico nella storia del branding farmaceutico perché ha creato un sistema unificato di packaging dei prodotti etici per una multinazionale nata dalla fusione di sei brand diversi, dando una voce unica a farmaci distribuiti in tutto il mondo e mantenendo, al contempo, la piena conformità alle normative locali. È stato definito di fatto un codice visivo universale: un linguaggio di segni, colori e gerarchie informative capace di rendere immediata la lettura del farmaco, qualunque fosse il mercato di riferimento. L’operazione, a distanza di tempo, rimane un esempio importante di come il branding possa costituire non solo un valore identitario ma anche una leva organizzativa in grado di restituire ordine e chiarezza..

Le fondazioni del bene comune

Da Smile House, che cura le malformazioni cranio-facciali, alla Fondazione Veronesi e alla Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro, il design diventa linguaggio etico. Ogni marchio è un atto di restituzione: un modo per dare volto alla solidarietà, alla ricerca, alla speranza. Per esempio, il rinnovo della brand identity della Fondazione Veronesi, ente che sostiene la ricerca scientifica d’eccellenza e diffonde la cultura della prevenzione, valorizza l’eredità del fondatore e, attraverso la “V” del logo, diventa segno umano e dinamico, capace di adattarsi ai diversi ambiti di ricerca rappresentati dal “ribbon”, simbolo universale di lotta e speranza. Anche nella sanità, il branding è infrastruttura di senso, uno strumento per rendere la cura più umana e, quindi, più efficace.

Relazione come cura

In un momento in cui tutto ruota attorno all’esperienza e all’identità personale, anche la medicina deve trovare modalità in linea con i tempi. L’healthcare non può essere solo il sistema che cura, ma deve diventare un ecosistema che si prende cura: della persona, dei suoi linguaggi e quindi dei suoi racconti, dei suoi spazi. E, come accade nel branding, la relazione diventa il cuore della fiducia. Ne parliamo con Antonio Romano.

Da dove nasce il concetto moderno di healthcare?

Le sue radici affondano nella medicina antica. Da Ippocrate alla Scuola Salernitana, la salute era un equilibrio tra elementi – aria, acqua, terra, fuoco – e umori. Con il tempo, la medicina si è spostata da una visione “geocentrica” a una “morbocentrica”, focalizzata sulla patologia più che sulla persona. Oggi siamo di fronte a un nuovo passaggio: dalla cura della malattia alla relazione che diventa cura.

Cosa significa portare questa trasformazione nel branding?

Significa considerare la “cura” non come un gesto ‘tecnico’, ma come un valore narrativo. I brand, proprio come i medici, non offrono più solo prodotti o servizi, ma esperienze di fiducia. L’healthcare diventa un ambito di comunicazione che mette al centro la persona, le sue emozioni e i suoi bisogni di comprensione. La “cura” si traduce così in linguaggi tarati sul paziente, in conseguente tono di voce, in spazi che accolgono.

In che modo le strutture sanitarie devono adeguarsi a questa nuova prospettiva?

È necessario superare l’organizzazione rigida e spesso impersonale degli ospedali. L’esperienza digitale ha abituato il cittadino a relazioni dirette, fluide, disintermediate in cui ciascuno individuo è sempre al centro. Anche la sanità deve adottare questa logica, con sistemi di orientamento più intuitivi, percorsi più chiari e un dialogo aperto. Il sistema di wayfinding del Policlinico Gemelli, ispirato alla segnaletica aeroportuale, ne è un esempio: pensato per chi deve trovare la propria destinazione, non per chi già conosce quegli spazi.

Qual è il ruolo del design e dell’identità visiva in questo contesto?

Fondamentale. Il branding è la grammatica che coordina le infinite storie che compongono il mondo della salute. Non si tratta solo di logo o colore, ma di coerenza tra comportamento, linguaggio e missione. Quando la Regione Lazio ha adottato un’identità unica come Salute Lazio, non è stata solo una scelta grafica ma un modo per rendere il sistema più riconoscibile, accessibile, umano.

Quale esempio tra i case studies di Inarea meglio esprime il concetto di “cura”?

Il rebranding di Assogenerici in Egualia è emblematico. Da un’associazione percepita come industria di farmaci equivalenti, si è passati a un racconto fondato sull’articolo 3 della Costituzione: uguaglianza come valore di equità nella salute. Non più “produttori di copie”, ma promotori del diritto alla cura per tutti.

Qual è la sfida culturale del futuro?

Rimettere la persona al centro. Il digitale ci ha insegnato che tutto parte dall’“io”, ma nella sanità questo “io” deve superare la tradizionale sudditanza del cittadino reso contraente ancora più debole perché divenuto “paziente”, deve sentirsi accolto, non isolato. La medicina relazionale è la vera frontiera dell’healthcare contemporaneo: una medicina che ascolta, accompagna e, soprattutto, comunica.

Mobilità tra esperienza e identità

La mobilità non è solo funzione tecnica, ma parte integrante della vita quotidiana, un bisogno universale che attraversa lavoro, tempo libero e socialità, influenzando la percezione stessa di libertà e accessibilità. La recente indagine condotta da ANIASA e Bain & Company evidenzia come l’auto resti al centro della mobilità degli italiani: 8 persone su 10 continuano a utilizzarla per gli spostamenti quotidiani. Tuttavia, mutano le modalità di accesso: diminuiscono i nuovi acquisti a causa dei costi in crescita e si rafforzano alternative come il noleggio o l’usato, che rendono più sostenibile l’esperienza di spostamento. In questo quadro, la fruizione delle infrastrutture non si riduce a un tema tecnico, ma riflette dinamiche sociali ed economiche più ampie, dalla necessità di democratizzare l’accesso ai mezzi fino alla capacità delle reti e dei servizi di rispondere a bisogni collettivi di continuità, sicurezza e prossimità.

Mobilità come brand identity:
relazione, linguaggio e significato profondo

Affrontare la mobilità come brand identity significa andare oltre l’infrastruttura e il prodotto per concentrarsi sulla relazione con l’utente. “Un marchio in questo settore”, spiega Antonio Romano, “non è solo un segno grafico ma un sistema capace di orientare, rassicurare e costruire fiducia. La mobilità diventa così un linguaggio condiviso che riduce il senso di smarrimento nel luogo fisico e offre punti di riferimento tangibili nello spazio e nel tempo. In questa logica, la relazione non è più un effetto secondario del servizio, ma l’essenza stessa della mobilità: non conta soltanto la strada percorsa o il mezzo utilizzato, ma il modo in cui il brand riesce a creare connessioni emotive e sociali. Qui entra in gioco il concetto di embodiment: il marchio diventa contenitore di significati plurali, capace di incorporare valori, esperienze e promesse che trascendono il prodotto. Più il brand riesce a essere sintetico e portatore di valori chiari, più assume la funzione di ‘cappello’ simbolico che unifica realtà diverse, diventando pervasivo e riconoscibile. Progettare un brand ‘monolitico’, in particolare, è creare lo strumento che meglio incarna questa esigenza: la sua coerenza permette di far parlare la stessa lingua a entità eterogenee, catalizzando l’attenzione e restituendo all’utente una visione unitaria. In questa prospettiva, la mobilità assume un significato profondo: non semplice connessione geografica, ma esperienza relazionale che avvicina persone, storie e comunità, offrendo un orizzonte valoriale più esteso in cui il marchio si proietta come garanzia di continuità e appartenenza.

Il brand come sintesi, i casi emblematici

Inarea ha più volte affrontato il tema della brand identity nel meta-settore della mobilità, assumendo diverse declinazioni. È un ecosistema che può essere interpretato in quanto segnaletica, come nel caso di ATM, come progetto di identità, si vedano i casi di Anas, Atac*, Autostrade per l’Italia, Cotral, Italo o Webuild (perfino Ferrovie dello Stato, oltre venticinque anni fa); oppure per esteso come esperienza nei contesti dei trasporti o delle infrastrutture. Questi casi concreti confermano la complessità e la multidimensionalità del tema.

Autostrade per l’Italia, dopo il cambio dell’azionariato e del management, ha dato vita a un processo virtuoso di rinnovamento, che ha avuto come priorità la messa in sicurezza della rete, anche grazie all’introduzione di tecnologie digitali. Il rebranding, presentato in occasione del sessantesimo anniversario dall’inaugurazione dell’Autostrada del Sole, ha posto in evidenza il ruolo di attore sociale, impegnato nella coesione territoriale. Il nome della società e del Gruppo è rimasto invariato ma il nuovo posizionamento ha definito significati nuovi. Il ruolo di partner del Paese è stato interpretato assegnando ad “Autostrade” il compito di esprimere “cosa fa” e a “per l’Italia” il “perché lo fa”, il fine del proprio agire.

Anche il rebranding Anas è coinciso con l’ammodernamento della rete stradale/autostradale: il nuovo marchio è diventato di conseguenza l’elemento segnaletico e simbolico, chiamato a dare rappresentazione al rinnovamento sistemico introdotto.

Cambiando ambito di riferimento, l’eleganza e la leggerezza di Italo hanno prodotto un impatto e un’accoglienza molto positivi presso le varie categorie di pubblico. Dal colore all’essenzialità delle livree, passando per la silhouette del leprotto o per la tipografia del logo, tutto concorre a generare empatia e quindi relazione.

Un approccio analogo è stato seguito nella strutturazione del brand Cotral, società della Regione Lazio, che gestisce il trasporto pubblico locale, sia su gomma sia su rotaia: un marchio giocoso e delle livree dal forte impatto cromatico hanno decretato un gradimento elevato da parte dei pendolari e degli utenti, in generale.

Per Atm (Azienda Trasporti Milanesi), che gestisce il servizio di trasporto pubblico su un’area abitata da oltre 3,3 milioni di abitanti (Milano e 95 comuni della Lombardia) è stato definito un sistema segnaletico per la rete metropolitana: il progetto, ispirato a quello realizzato da Bob Noorda negli anni ‘60, ha ridefinito tipografia e pittogrammi, uniformando e migliorando significativamente la fruizione da parte degli utenti. Un intervento analogo è stato messo a punto per l’Atac di Roma dove, oltre alla segnaletica per le nuove stazioni della metropolitana, sono state definite le livree per i treni e per i mezzi di superficie. Il progetto comprende anche la definizione di una famiglia di caratteri tipografici display (denominata “Urbs”) e il ridisegno di tutti i pittogrammi impiegati nella segnaletica.

Nell’ambito delle attività di brand management e brand advisory per Webuild, inoltre, sono stati realizzati degli interventi di valorizzazione delle aree di cantiere, legate alle grandi opere: dalla linea 4 della Metropolitana di Milano alla prosecuzione della linea C di quella di Roma, dalla ricostruzione del Ponte Morandi a Genova alle nuove tratte dell’alta velocità ferroviaria.

Emerge da questo singolare mosaico come progetti e realtà molto differenti tra loro convergano nel concetto di mobilità, che traguarda la semplice dimensione del movimento per tradursi in esperienza radicata nei luoghi e, ancora di più, in relazione. Proprio perché il fine è tutto nella raggiungibilità: rendere persone e merci più vicine.

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Raccontare l’università: coerenza e identità in un mondo connesso

Un’università non è solo l’ente che insegna. È un mondo che si racconta, che coinvolge chi la sceglie e che proietta il futuro che promette. E in un mondo sempre più connesso, emotivo e competitivo: è proprio il racconto che fa la differenza.

Oggi un’università comunica su molti canali, per questo è indispensabile la coerenza sia online che offline. Siti, social, spazi fisici, eventi e materiali devono parlare la stessa lingua. L’esperienza digitale, in particolare, deve essere chiara e accessibile: è spesso il primo vero contatto con l’ateneo e può influenzare la percezione complessiva della sua identità e affidabilità.

La brand identity di un ateneo è ciò che lo rende riconoscibile subito, ma anche nei messaggi che trasmette. Non è solo un logo e ancor meno un crest: è un mix. Dal naming ai colori, dal sito agli open day, ogni dettaglio di segni, tono e stile racconta chi sei e perché qualcuno dovrebbe sceglierti.

Case Studies



Conservatorio di Milano

 

 

Un logotipo dinamico unisce tipografie diverse per rappresentare la pluralità musicale. Il movimento grafico crea un segno visivo in continua trasformazione, mentre l’indicazione spaziale resta stabile, a radicare storia e identità.



Sapienza

 

 

Un progetto di brand identity e brand architecture che ha razionalizzato la complessità di un grande ateneo, semplificando la denominazione, ridisegnando simboli storici e introducendo una tipografia proprietaria.



Opit

 

 

Un progetto che comunica innovazione, flessibilità e impatto sociale in ambito formativo digitale. Un’identità visiva costruita su simboli binari, tipografia moderna e una palette dinamica per distinguersi nel panorama dell’educazione online.

Case Studies



LIUC

 

 

Una brand idenity che unisce cultura accademica e mondo dell’impresa, con un linguaggio sobrio e diretto. Il simbolo della costellazione richiama l’idea di futuro, mentre il blu comunica stabilità e affidabilità.



LUISS

 

 

Un progetto che racconta un’idea di formazione come crescita continua, simboleggiata dalla colonna che diventa capitello. Un linguaggio visivo e tipografico coerente rafforza senso di appartenenza e apertura al sapere.



Intercultura

 

 

Il brand design rafforza l’autonomia valorizzando il nome quale elemento centrale del logo. Il riferimento ad AFS resta sullo sfondo, segnando le origini ma sottolineando una visione evoluta e indipendente.

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Branding e università: quando l’identità fa la differenza

Anche nel settore educational, il branding è diventato un fattore strategico. In un panorama sempre più competitivo e globalizzato, costruire una brand identity solida e riconoscibile aiuta gli atenei a distinguersi, ad attrarre studenti e a posizionarsi in modo coerente nel sistema educativo e nel mercato del lavoro.

Che cos’è la brand identity nel settore educational?

È branded tutto ciò che non ha bisogno di essere spiegato. Aver studiato ad Harvard ad esempio, significa presentarsi con un background notevole poiché la fama dell’ateneo diventa una vera e propria garanzia per chi si è laureato lì, ovvero “brand is reputation”. L’urgenza di costruire un brand nel mondo accademico nasce da un momento di cambiamento sia del modo con cui si insegna, si veda il proliferare dell’offerta formativa online, sia del modo con cui si studia. La riduzione delle nascite porta a compensare il numero degli iscritti cercando di attrarre studenti stranieri. E dunque, per l’inevitabile concorrenza tra università, diventa urgente rappresentarsi al meglio. Costruire una brand identity solida e riconoscibile aiuta gli Atenei a distinguersi e a posizionarsi in modo coerente sia nel sistema educativo sia nel mercato del lavoro.

Partiamo dall’esperienza con Sapienza Università di Roma. Quali furono le principali sfide?

Il progetto di Sapienza Università di Roma, iniziato nel 2006, è stato tra i più complessi per dimensione e stratificazione storica. Parliamo di un ateneo con oltre 150.000 iscritti e una storia di sette secoli. L’obiettivo era costruire un’identità forte, capace di tenere insieme tante realtà diverse, quali scuole e dipartimenti, spesso scollegate tra loro. La riforma che andava a sostituire il sistema tradizionale incentrato sulle facoltà fu il contesto d’intervento. Abbiamo sviluppato un’architettura di brand rigorosa: Sapienza (senza “la”) come master brand, mentre dipartimenti e scuole sono stati identificati solo tipograficamente (con caratteri disegnati ad hoc), eliminando i relativi riferimenti simbolici. Una scelta che ha incontrato molte critiche all’inizio. Il colore porpora, invece del consueto blu “accademico”, è stato scelto per evocare i colori di Roma e sottolinearne il legame. Mentre il claim “Il futuro è passato qui” sintetizza il valore storico e l’eredità culturale dell’ateneo.



Pubbliche o private, c’è una differenza nel modo di costruire il brand?

Il metodo è lo stesso: analisi, strategia, visione. A cambiare è il singolo contesto. Le università pubbliche spesso devono razionalizzare un’eredità storica mentre le private, più giovani, puntano sulla legittimazione e l’attrattività. Ma oggi tutte, pubbliche o private, devono affrontare sfide simili. LUISS, ad esempio, ha saputo valorizzare il suo essere luogo di opportunità e di relazioni globali, rafforzando la fiducia di studenti e famiglie. Il rapporto di Inarea con l’Ateneo inizia nel 2017, con le celebrazioni dei suoi 40 anni, e si sviluppa poi in un progetto di rebranding. Un posizionamento chiaro e coerente, che ha beneficiato di un investimento continuo su un network internazionale. In maniera analoga, ma con esiti diversi, LIUC  (Università Cattaneo) ha lavorato sul rafforzamento della sua identità come ateneo legato al mondo industriale, connesso al territorio e proiettato nel futuro.

Targa Luiss
LIUC-Università-facciata

Quanto conta l’esperienza, la user experience digitale nella percezione del brand?

Tanto, perché l’esperienza oggi inizia prima dell’iscrizione: il sito, i materiali informativi, la navigazione digitale, tutto deve essere coerente, chiaro, attrattivo. La user experience è centrale, soprattutto per atenei che offrono un’ampia gamma di corsi. È in questa fase che si costruisce la relazione emotiva con il futuro studente. L’elemento differenziante può essere la storia, come nel caso di Sapienza, o la visione futura, come per OPIT – una realtà digitale che ha puntato su un corpo docente d’eccellenza come brand ambassador per attrarre studenti. In ogni caso, il brand deve generare fiducia, essere memorabile, riconoscibile ovunque, dai touchpoint digitali a quelli fisici.

In quale direzione si sta muovendo la brand identity nel mondo educational?

Sta diventando sempre più sistemica. Il brand non è più solo un logo o un colore, ma una forma di governo dell’identità. È ciò che costruisce significato nella mente delle persone. Con l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione, potremo vedere nuovi attori entrare in scena – pensate se Amazon decidesse di fondare un’università: la forza del brand sarebbe già un vantaggio competitivo enorme. Per questo, oggi più che mai, serve una visione ampia e un racconto capace di toccare lintelligenza emotiva delle persone. Perché un brand forte, nel mondo dell’education, non racconta solo cosa sei: racconta dove puoi portare chi ti sceglie.