A sentire il nome di “Premio Pulitzer”, vediamo ergersi colonne di autorevolezza. Così è stato, in effetti, sin dalla prima edizione del 1917 (la data di oggi, invece, pare si riferisca al lascito testamentario con cui Pulitzer avrebbe devoluto la sua eredità per l’istituzione della “School of Journalism” della Columbia University e relativo premio).
Eppure,Joseph Pulitzer era un personaggio decisamente scaltro, non senza macchia e senza peccato. Vero, ha rivoluzionato l’allora nascente mondo dei media introducendo quelle rubriche che, ancora oggi, ci fanno amare i giornali oltre la cronaca: la moda, lo sport, i fumetti. Sono tutti merito suo. Ma era affetto anche da sensazionalismo, e parecchio. Per questo, la guerra nella Grande Mela a fine Ottocento era sì tra gangster, ma non dimentichiamoci di quelli con la stilografica in mano: Joseph Pulitzer contro William Hearst, il fondatore dell’omonimo colosso dell’editoria.
La tendenza ad esagerare le notizie a vantaggio dei numeri toccò picchi di parossismo, al punto che nacque un termine per descrivere questo fenomeno, il cosiddetto “yellow journalism”. A farne le spese in termini di vendite, ovviamente, erano i giornali che non si prestavano a tale gioco, come il “New York Times”, che si barricò dietro al motto “All the news that’s fit to print / Solo le notizie che si possono stampare”.
Cambiano i mezzi, ma il canto delle sirene nel mondo dell’informazione pare sempre lo stesso. Chi riuscirà, come il “Times”, ad andare a vele spiegate controcorrente?
Onomastico:
Sant’Eusebio, Papa