Mobilità tra esperienza e identità

La mobilità non è solo funzione tecnica, ma parte integrante della vita quotidiana, un bisogno universale che attraversa lavoro, tempo libero e socialità, influenzando la percezione stessa di libertà e accessibilità. La recente indagine condotta da ANIASA e Bain & Company evidenzia come l’auto resti al centro della mobilità degli italiani: 8 persone su 10 continuano a utilizzarla per gli spostamenti quotidiani. Tuttavia, mutano le modalità di accesso: diminuiscono i nuovi acquisti a causa dei costi in crescita e si rafforzano alternative come il noleggio o l’usato, che rendono più sostenibile l’esperienza di spostamento. In questo quadro, la fruizione delle infrastrutture non si riduce a un tema tecnico, ma riflette dinamiche sociali ed economiche più ampie, dalla necessità di democratizzare l’accesso ai mezzi fino alla capacità delle reti e dei servizi di rispondere a bisogni collettivi di continuità, sicurezza e prossimità. Mobilità come brand identity: relazione, linguaggio e significato profondo Affrontare la mobilità come brand identity significa andare oltre l’infrastruttura e il prodotto per concentrarsi sulla relazione con l’utente. “Un marchio in questo settore”, spiega Antonio Romano, “non è solo un segno grafico ma un sistema capace di orientare, rassicurare e costruire fiducia. La mobilità diventa così un linguaggio condiviso che riduce il senso di smarrimento nel luogo fisico e offre punti di riferimento tangibili nello spazio e nel tempo. In questa logica, la relazione non è più un effetto secondario del servizio, ma l’essenza stessa della mobilità: non conta soltanto la strada percorsa o il mezzo utilizzato, ma il modo in cui il brand riesce a creare connessioni emotive e sociali. Qui entra in gioco il concetto di embodiment: il marchio diventa contenitore di significati plurali, capace di incorporare valori, esperienze e promesse che trascendono il prodotto. Più il brand riesce a essere sintetico e portatore di valori chiari, più assume la funzione di ‘cappello’ simbolico che unifica realtà diverse, diventando pervasivo e riconoscibile. Progettare un brand ‘monolitico’, in particolare, è creare lo strumento che meglio incarna questa esigenza: la sua coerenza permette di far parlare la stessa lingua a entità eterogenee, catalizzando l’attenzione e restituendo all’utente una visione unitaria. In questa prospettiva, la mobilità assume un significato profondo: non semplice connessione geografica, ma esperienza relazionale che avvicina persone, storie e comunità, offrendo un orizzonte valoriale più esteso in cui il marchio si proietta come garanzia di continuità e appartenenza. Il brand come sintesi, i casi emblematici Inarea ha più volte affrontato il tema della brand identity nel meta-settore della mobilità, assumendo diverse declinazioni. È un ecosistema che può essere interpretato in quanto segnaletica, come nel caso di ATM, come progetto di identità, si vedano i casi di Anas, Atac*, Autostrade per l’Italia, Cotral, Italo o Webuild (perfino Ferrovie dello Stato, oltre venticinque anni fa); oppure per esteso come esperienza nei contesti dei trasporti o delle infrastrutture. Questi casi concreti confermano la complessità e la multidimensionalità del tema. Autostrade per l’Italia, dopo il cambio dell’azionariato e del management, ha dato vita a un processo virtuoso di rinnovamento, che ha avuto come priorità la messa in sicurezza della rete, anche grazie all’introduzione di tecnologie digitali. Il rebranding, presentato in occasione del sessantesimo anniversario dall’inaugurazione dell’Autostrada del Sole, ha posto in evidenza il ruolo di attore sociale, impegnato nella coesione territoriale. Il nome della società e del Gruppo è rimasto invariato ma il nuovo posizionamento ha definito significati nuovi. Il ruolo di partner del Paese è stato interpretato assegnando ad “Autostrade” il compito di esprimere “cosa fa” e a “per l’Italia” il “perché lo fa”, il fine del proprio agire. Anche il rebranding Anas è coinciso con l’ammodernamento della rete stradale/autostradale: il nuovo marchio è diventato di conseguenza l’elemento segnaletico e simbolico, chiamato a dare rappresentazione al rinnovamento sistemico introdotto. Cambiando ambito di riferimento, l’eleganza e la leggerezza di Italo hanno prodotto un impatto e un’accoglienza molto positivi presso le varie categorie di pubblico. Dal colore all’essenzialità delle livree, passando per la silhouette del leprotto o per la tipografia del logo, tutto concorre a generare empatia e quindi relazione. Un approccio analogo è stato seguito nella strutturazione del brand Cotral, società della Regione Lazio, che gestisce il trasporto pubblico locale, sia su gomma sia su rotaia: un marchio giocoso e delle livree dal forte impatto cromatico hanno decretato un gradimento elevato da parte dei pendolari e degli utenti, in generale. Per Atm (Azienda Trasporti Milanesi), che gestisce il servizio di trasporto pubblico su un’area abitata da oltre 3,3 milioni di abitanti (Milano e 95 comuni della Lombardia) è stato definito un sistema segnaletico per la rete metropolitana: il progetto, ispirato a quello realizzato da Bob Noorda negli anni ‘60, ha ridefinito tipografia e pittogrammi, uniformando e migliorando significativamente la fruizione da parte degli utenti. Un intervento analogo è stato messo a punto per l’Atac di Roma dove, oltre alla segnaletica per le nuove stazioni della metropolitana, sono state definite le livree per i treni e per i mezzi di superficie. Il progetto comprende anche la definizione di una famiglia di caratteri tipografici display (denominata “Urbs”) e il ridisegno di tutti i pittogrammi impiegati nella segnaletica. Nell’ambito delle attività di brand management e brand advisory per Webuild, inoltre, sono stati realizzati degli interventi di valorizzazione delle aree di cantiere, legate alle grandi opere: dalla linea 4 della Metropolitana di Milano alla prosecuzione della linea C di quella di Roma, dalla ricostruzione del Ponte Morandi a Genova alle nuove tratte dell’alta velocità ferroviaria. Emerge da questo singolare mosaico come progetti e realtà molto differenti tra loro convergano nel concetto di mobilità, che traguarda la semplice dimensione del movimento per tradursi in esperienza radicata nei luoghi e, ancora di più, in relazione. Proprio perché il fine è tutto nella raggiungibilità: rendere persone e merci più vicine.

Quel legame tra Venezia e Biennale

“Tra la Biennale di Venezia e la città esiste un legame simbiotico”, spiega Antonio Romano alla vigilia della 19a Mostra internazionale di architettura dal titolo “Stranieri Ovunque”. Nel 2001 Inarea realizza la brand identity dell’Istituzione tuttora in utilizzo. Ispirato dalla celebre colonna di Piazza San Marco, il logo ne trasforma il fusto in una campitura rossa, colore fortemente radicato nella cultura e nella storia della Serenissima, che incornicia il nome in bianco, mentre il leone stilizzato interpreta la scultura bronzea alata, originariamente una chimera a cui furono aggiunte poi le ali. Il marchio è caratterizzato da un forte sviluppo verticale, riequilibrato da un quadrato rosso posto a fianco della colonna che inquadra, mettendo in risalto il contenuto, ovvero il sistema di eventi culturali e artistici – Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica, Teatro, Archivio Storico: il perimetro che rende la Biennale un riferimento a livello globale e un forte incentivo a tornare in visita a Venezia durante tutto l’anno. Come mai questa brand identity è così longeva? “Perché è semplice. È una sorta di cornice che mette in risalto il contenuto e l’organizzazione culturale dell’istituzione. Diventa un organismo di segni, un design coerente e riconoscibile che si estende a tutti i diversi eventi e manifestazioni. È una sorta di cappello che accomuna e che viene esteso non solo al programma culturale, alla mostra istituzionale o agli spazi espositivi delle varie nazioni partecipanti, ma anche al relativo sistema segnaletico e comunicazione pubblicitaria nella città. Onore all’Istituzione per l’aver saputo utilizzare questo sistema in modo efficace e non invasivo nel tessuto urbano. Se la brand identity ha contribuito a rendere la Biennale riconoscibile, l’Istituzione ha reso Venezia più attrattiva garantendo qualità, articolando l’esperienza dei visitatori e offrendo una nuova relazione con la città stessa che diventa una destinazione non solo per il turismo, ma anche per gli eventi culturali. Tra la Biennale e la città sussiste un legame per cui una è parte dell’altra. E la Biennale diviene un tutto onnicomprensivo: infatti, pur essendoci molteplici biennali nel mondo, il termine richiama alla memoria in maniera immediata quella di Venezia”. Quali sono i presupposti del marketing territoriale attraverso operazioni di tipo culturale? “Alla base c’è il riconoscimento di un sistema di valori e di segni impressi nel territorio. Il marketing territoriale nasce da un processo di semplificazione: più il risultato è sintesi di elementi riconducibili, anche implicitamente, a un determinato luogo, più è efficace. Nel corso dei decenni abbiamo realizzato svariati progetti di city branding: da Roma Capitale, in cui il celebre acronimo SPQR e i colori rosso e giallo (trasposizione dell’oro imperiale) si sono talmente radicati nell’immaginario collettivo da diventarne emblema – si veda anche il successivo progetto di brand identity di Sapienza, Università di Roma che sostituisce il rosso al tradizionale blu dell’istituzione, alla città di Milano [leggi anche “Milano, città della ribalta”] in cui il rigore della croce del simbolo araldico diventa elemento organizzativo in grado di coordinare la comunicazione. “Sono da segnalare anche i casi di New Administrative Cairo Capital – City of Arts and Culture e di Pompeii. Pur essendo quest’ultima una città non più esistente, il progetto di brand identity e di signage & wayfinding del sito archeologico presenta elementi di similitudine con l’organizzazione e la fruizione delle informazioni di un contesto urbano “vivo”. A fronte di esigenze di sintesi nelle mappature, fruizione internazionale, leggerezza visiva e durabilità degli elementi di segnaletica, il progetto risponde alle medesime logiche di attrattività, esperienza e facilità di utilizzo alla base del marketing territoriale urbano. Analogamente, per la nuova città per le arti e la cultura del Cairo abbiamo realizzato un marchio che lega il richiamo internazionale alle piramidi con le ali dell’aquila di Saladino, simbolo dell’Egitto. Abbiamo poi sviluppato un complesso sistema di wayfinding con percorsi pedonali e veicolari che dal mondo esterno si estende all’interno degli spazi, codificandoli in una segnaletica comune. È una città di nuova fondazione, chiamata a ospitare oltre sei milioni di abitanti, in cui auspicherei un legame simbiotico con l’universo urbano simile al caso della Biennale di Venezia”.