Relazione come cura

In un momento in cui tutto ruota attorno all’esperienza e all’identità personale, anche la medicina deve trovare modalità in linea con i tempi. L’healthcare non può essere solo il sistema che cura, ma deve diventare un ecosistema che si prende cura: della persona, dei suoi linguaggi e quindi dei suoi racconti, dei suoi spazi. E, come accade nel branding, la relazione diventa il cuore della fiducia. Ne parliamo con Antonio Romano.

Da dove nasce il concetto moderno di healthcare?

Le sue radici affondano nella medicina antica. Da Ippocrate alla Scuola Salernitana, la salute era un equilibrio tra elementi – aria, acqua, terra, fuoco – e umori. Con il tempo, la medicina si è spostata da una visione “geocentrica” a una “morbocentrica”, focalizzata sulla patologia più che sulla persona. Oggi siamo di fronte a un nuovo passaggio: dalla cura della malattia alla relazione che diventa cura.

Cosa significa portare questa trasformazione nel branding?

Significa considerare la “cura” non come un gesto ‘tecnico’, ma come un valore narrativo. I brand, proprio come i medici, non offrono più solo prodotti o servizi, ma esperienze di fiducia. L’healthcare diventa un ambito di comunicazione che mette al centro la persona, le sue emozioni e i suoi bisogni di comprensione. La “cura” si traduce così in linguaggi tarati sul paziente, in conseguente tono di voce, in spazi che accolgono.

In che modo le strutture sanitarie devono adeguarsi a questa nuova prospettiva?

È necessario superare l’organizzazione rigida e spesso impersonale degli ospedali. L’esperienza digitale ha abituato il cittadino a relazioni dirette, fluide, disintermediate in cui ciascuno individuo è sempre al centro. Anche la sanità deve adottare questa logica, con sistemi di orientamento più intuitivi, percorsi più chiari e un dialogo aperto. Il sistema di wayfinding del Policlinico Gemelli, ispirato alla segnaletica aeroportuale, ne è un esempio: pensato per chi deve trovare la propria destinazione, non per chi già conosce quegli spazi.

Qual è il ruolo del design e dell’identità visiva in questo contesto?

Fondamentale. Il branding è la grammatica che coordina le infinite storie che compongono il mondo della salute. Non si tratta solo di logo o colore, ma di coerenza tra comportamento, linguaggio e missione. Quando la Regione Lazio ha adottato un’identità unica come Salute Lazio, non è stata solo una scelta grafica ma un modo per rendere il sistema più riconoscibile, accessibile, umano.

Quale esempio tra i case studies di Inarea meglio esprime il concetto di “cura”?

Il rebranding di Assogenerici in Egualia è emblematico. Da un’associazione percepita come industria di farmaci equivalenti, si è passati a un racconto fondato sull’articolo 3 della Costituzione: uguaglianza come valore di equità nella salute. Non più “produttori di copie”, ma promotori del diritto alla cura per tutti.

Qual è la sfida culturale del futuro?

Rimettere la persona al centro. Il digitale ci ha insegnato che tutto parte dall’“io”, ma nella sanità questo “io” deve superare la tradizionale sudditanza del cittadino reso contraente ancora più debole perché divenuto “paziente”, deve sentirsi accolto, non isolato. La medicina relazionale è la vera frontiera dell’healthcare contemporaneo: una medicina che ascolta, accompagna e, soprattutto, comunica.